“Un padre” di Roberto Gneo

UN PADRE_Regia Roberto Gneo_2di Silvia Chessa

Tout commence par une interruption” recita la citazione dei versi di Paul Valéry ad apertura del cortometraggio “Un padre”, di Roberto Gneo: tutto parte da una interruzione.

La ricerca della felicità, la necessità di ricomporre i pezzi mancanti del senso del nostro vivere, “l’anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità” (per dirla con Montale), lo sforzo necessario, cerebrale fino a farsi  fisico, per volgere in opportunità le assenze.

Ed in effetti una interruzione trapela esserci stata, in questo rapporto tra un padre e una figlia, protagonista, assieme ai ricordi ed alla nostalgia del passato, della storia.

In questo corto, dove il non detto conta quasi più che il detto, il fra-le-righe più dell’esplicitato,  si affida un senso poetico agli sguardi intensi,  teneramente complici e consapevoli, mentre il tempo cronologico della vicenda, la telefonata notturna fra Silvia e il padre, si estende in virtù dei flash-back e dei ricordi vari, e si ricostruisce una separazione, si ricuce un dialogo, si placa una mancanza ma anche, semplicemente, si riafferma l’intesa padre figlia, complice un momento di difficoltà di Silvia, giovane ragazza che lascia il fidanzatino in piena notte e che ricorre al padre (e non alla madre “..sai lei com’è fatta”). Lo butta giù dal letto, insonnolito e goffo, infatti rompe gli occhiali e se ne va in giro con questo occhiale sospeso e sghimbescio, dall’asticella spezzata, immagine emblema che qualcosa sempre manca, la perfezione non esiste, e si è comici tanto più si interviene, eroicamente, a cercare di tutelare i propri figli così come le proprie idee, che vagano nella notte a combattere contro i mulini a vento, alla deriva…

UN PADRE_Regia Roberto Gneo_3La completezza – se mai esistesse, cosa smentita sia dai filosofi sia dagli scienziati – è una ricerca avvincente e buffa, in quanto tendenzialmente improbabile, così come il “per sempre” di una famiglia o di una coppia apparentemente felici. La madre di Silvia, infatti, così come il padre, si sono ricostruiti altre storie, altre vite. Ma Silvia in qualche modo ne avverte ancora la nostalgia, si rituffa in quel passato coeso e spensierato (anche se forse solo per lei), e sente la necessità di farlo riaffiorare altresì alla memoria del padre..con tatto, e poesia.(cosa vedi oltre il sole, il mare, il cielo, le vele a navigare..-chiederà al padre- e poi risponderà che lei ci vede loro tre, suo padre e sua madre e lei da piccola).

La vita è un posto dove sedersi di fronte a un tramonto, sul mare, e restituirsi alla sapienza della lentezza.. dove comunque c’è spazio per il ricordo, per ricostituire una complicità familiare, anche in una notte di litigi e nervosismi.

Il padre (che spiritosamente pungola Silvia a prendere un autobus, ben sapendo che le corse sono già finite, e che poi la invita a seguire la regola di lasciare i fidanzati a mezzogiorno e non in piena notte, mentre però è già in macchina alla ricerca e in soccorso di lei, della figlia) non è un semplice episodio, una circostanza, ma un affermare “Io ci sono, e ci sarò sempre”, con giocosa semplicità, senza retorica o paternalismi.

Qualcosa manca ma qualcosa sempre rimane. Colpiscono, dell’opera di Gneo, oltre i dialoghi e la recitazione, l’atmosfera rarefatta, la scenografia: volti e paesaggi sembrano fotografie di Luigi Ghirri, o quadri di Sisley, suscitando emozioni dai colori pastello.

Le musiche accompagnano e riempiono ma senza prendere mai il sopravvento.

Un senso di mistero e di fiducia rimane ben distribuito, fra parole cristalline ed intense, che scavano sentieri-sguardi altrettanto carichi e immersi in una natura partecipe di una bellezza avvolgente e soffusa.

La regia ha una orchestrazione lieve ma precisa che fluisce, scorre senza indugi, con una leggerezza densa ed un pensiero che vigila sul  passato ma senza rimanervi impantanato, pronto a spiccare il salto: Silvia, da piccola, salta fra padre e madre, e poi, più grande, si avvale di quei ricordi, li usa, non ne rimane schiacciata, bensì fa leva su essi per spiccare altri salti e farne fare al padre: il suo farsi aiutare non è pesante ma pensante e liberatorio. Mette le ali.

Ed anche Silvia è alla ricerca: di una libertà e di un’indipendenza che siano però connesse al valore della memoria.

E di loro tre, (lei piccola, padre, madre), ricorda anche al padre, ritemperando il loro rapporto col suo calore femminile e puntellando il suo essere donna a cavallo fra una personalità forte (rispetto al suo ragazzo, è lei a mollarlo), la fragilità (col padre, non lasciarmi sola..), la simpatia e l’autoironia (in giro a quest’ora ci sono tutte le sciroccate come me e i loro padri incavolati come te) che sempre la salveranno, nella vita, prima ancora dell’intervento paterno. Comunque garantito.

E questo suo fiorire e formarsi, fra fragilità e forza, malinconia ed ironia, è motivo di grandissima fascinazione, richiamo ed attesa, magari, di un seguito a questa storia, come nei romanzi di formazione si attendono esiti e successivi sviluppi.

“Sempre há alguma coisa que falta..” scriveva Caio Fernando Abreu, e poi, sempre lui, citando Camille Claudel  “Il y a toujours quelque chose d’absent qui me tourmente.”

LOCANDINAUN PADRE
Scritto, diretto e prodotto da Roberto Gneo

Distribuzione Festivaliera Internazionale: Premiere Film
Con: Luca Lionello, Cinzia Carrea, Maja Lionello, Paolo Garbini, Stefano Duo, Aurora De Luigi, Vittoria Benetti, Ludovica Gardini
Fotografia: Fabio Possanza (AIC m. a.)

Musiche originali: Luigi Maria Mennella

Suono: Giampiero Sànzari

Montaggio: Roberto Gneo

Scenografia: Maurizio Ganzaroli

Roberto Gneo said,

Maggio 10, 2018 @ 22:17

Grazie a Silvia Chessa per queste bellissime parole. Grazie a tutta la redazione. Complimenti a tutti Voi e al vostro amore, impegno, dedizione che rivolgere al Cinema.
GRAZIE!!
PS: sono aperto a possibili collaborazioni.

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