“Perfect Days” di Wim Wenders

di Gianni Quilici

Hirayama pulisce i bagni pubblici di Tokio. Lo fa con rigorosa meticolosità, si potrebbe dire con passione. La sua giornata è ripetitiva: si sveglia, si lava, si cura i baffi con estrema precisione, innaffia le piante,  apre la porta di casa e saluta con un sorriso la luce del giorno, sale sul camioncino, inserisce, ogni volta, un’audiocassetta nel “mangianastri” e  ascolta canzoni,  passando da The House of Rising Sun degli Animals fino a Perfect Days di Lou Reed,  canzone che dà poi titolo al film. Nella pausa pranzo, assapora un panino sulla panchina del parco, fotografa dal basso le chiome degli alberi con una piccola macchina fotografica analogica, archivia le foto riuscite e strappa le altre. Alla fine del turno si lava accuratamente in un bagno pubblico, consuma un pasto frugale al chiosco del mercato e, a volte, in un bar, dove pare ci sia un rapporto reciproco di simpatia con la proprietaria,  rincasa, legge un romanzo di Faulkner, poi di Patricia Highsmith e la notte sogni senza storie: volti di donne, alberi e così via.

In questo fluire di un tempo ripetitivo,  non noioso, ma felice,  perché mai consumato,  accadono alcuni piccoli fatti nuovi: l’arrivo imprevisto della nipote, un ritratto vivo di ragazza, che lo accompagna al lavoro, gli fa domande, ci discute in felice sintonia e l’incontro con la sorella, arrivata a riprendersi la ragazzina. Da lì si intuisce, che Hirayana ha origine agiate, che ha scelto quella vita contro la famiglia e tuttavia l’abbraccio con la sorella, sofferto, incerto, proprio per questo, diventa emozionante, poesia.

E’ un film poetico, che, un po’ per volta,  ti “prende”, se sai vedere e sentire, fino al finale splendido. Lui che guida in macchina, ascoltando Perfect Days, mentre passa più volte dal sorriso aperto-felice a lampi negli occhi di tristezza-dolore,  nella luce di una Tokio, della quale il film ci lascia, delle sue strade, viadotti, negozi, un’anima.

E’ un film poetico e sottile, perché Wenders ha costruito un personaggio credibile, articolato, profondo, implicito e inattuale. E’, infatti, un personaggio  novecentesco, nella sua povertà paradossalmente nobile, nell’ascetismo del suo silenzio, nel comportamento gentile; un personaggio che ha spezzato nel modo più candido e netto le catene di una società individualista, consumistica, elettronica del post-moderno. E questo Wenders ce lo rappresenta con le immagini e la musica e pochissimi dialoghi e parole. Assolutamente da vedere.

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