“Le margheritine” di Věra Chytolovà

DA QUALCHE GIORNO RITORNA NELLE SALE ITALIANE “LE MARGHERITINE” , CAPOLAVORO INIMITABILE DELLA REGISTA DELLA VECCHIA CECOSLOVACCHIA VERA CHYTILOVA

di Mimmo Mastrangelo

       Due ragazze in costume prendono il sole ai bordi di una piscina: una mette un dito nel naso, l’altra porta alla bocca una trombetta e scandisce graffianti note. Seguono velocissime sequenze di repertorio di un palazzo ridursi in macerie, quindi si ritorna sulle giovani che iniziano un breve dialogo in cui si dicono che se il mondo è malvagio, loro sono legittimate a compiere azioni opposte alle nefandezze altrui.

       Da qui in avanti le due ragazze, che si scoprirà avere le stesso nome (Maria), danno vita ad un film liberatorio e psichedelico, ad un insolente e devastante slapstick in cui viene messa in burla la linea nichilista ed autoritaria della Cecoslovacchia comunista poco prima degli eventi della “Primavera di Praga”. Il film è “Le margheritine” che Věra Chytilová (1929-2014) girò nel 1966 ma, purtroppo, la regista non ebbe la soddisfazione di vederlo entrare in una sala del suo Paese perché venne censurato.

        L’ostracismo della nomenclatura comunista fu così ostinato nei confronti della Chytilová che per quasi un decennio dovette lavorare in clandestinità.

        In Italia, invece, “Le margheritine” venne distribuito suscitando pure molto interesse, mentre ora possiamo segnalarne un felice ritorno sui nostri schermi dopo che il nastro originale è stato restaurato e riversato supporto digitale.

        Il film è un piccolo e rarissimo capolavoro, difficilmente paragonabile, levigato su un umorismo nero ed una estetica assolutamente originale, la trama destrutturata alterna sequenze dal colore al bianco e nero, oltre a dei siparietti in cui le due diaboliche eroine sembrano entrare ed uscire in un quadro “surrealdadaista”.

        Concettualmente la pellicola di Věra Chytolovà (che fu anche una bellissima modella) è metafora di quel desiderio di cambiamento di cui si fecero voce e sguardo, dentro uno stato repressivo delle libertà, dei giovani registi che diedero vita alla Nová vlna.

        Il movimento della nouvelle vague locale tra i cui artefici si distinsero, insieme alla Chytolovà, Ivan Passer, Jiri Menzel, Jurai Jakubisko, Jan Němec, Karel Vachek e il grande Milos Forman il quale, però, per difendere la sua libertà creativa ed aggirare la censura di stato decise di emigrare negli Stati Uniti.

        Tra i tanti registi e critici che all’estero amarono “Le margheritine” vi fu anche Jacquette Rivette il quale, dopo averne elogiato lo spirito libertario e ribelle sulle pagine dei “Cahiérs du cinema”, volle rivolgere un omaggio diretto, accostando le due protagoniste del suo “Céline e Julie vanno sulla barca” (1974) alle impertinenti Marie della Chytolovà.

        Classificato al ventottesimo posto nella classifica di Sight & Sound dei migliori film di tutti i tempi, “Le margheritine” (titolo originale “Daisies”) è uno di quei lavori diventati cult anche per alcune sequenze come quella sopra evocata o quella finale in cui si vedono, vestite con carta di giornali, la bionda (Ivana Karbanova) e la bruna (Jitka Cerhová) ricomporre i cocci di una tavolata che poco prima hanno mandato in frantumi, ma nel frattempo che un sontuoso lampadario sta cadendogli addosso ecco che le immagini sono già voltate su dei frames reali di bombardamenti e distruzioni. La bolla atomica sui cui si sovrappongono i titoli di coda lascia un dubbio: rimanda alla fine o al perdurare delle crudeltà del mondo?

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