“Il mondo è troppo per me” di Vania Cauzillo

“IL MONDO E’ TROPPO PER ME”, DELLA GIOVANE REGISTA VANIA CAUZILLO PARABOLA SU VITTORIO CAMARDESE, UNO DEI PIU’ GRANDI CHITARRISTI DI OGNI TEMPO CHE NESSUNO VIDE SUONARE.

di Mimmo Mastrangelo

       L’ inglese Robin Friday e l’argentino “El Trinche” Tomas Felipe Carlovich sono stati due fenomeni del calcio che, però, “nessuno ha mai visto giocare”.

       Alla stregua della storia di questi due funamboli dell’arte pallonara c’è quella del chitarrista potentino Vittorio Camardese, un virtuoso (non consapevole del proprio talento) che pochi ebbero la fortuna di ubriacarsi delle sue diavolerie sonore. Quando si esibiva per gli amici, meglio davanti al meglio dello “jet-set” dello spettacolo nella Roma degli anni cinquanta-sessanta tutti rimanevano letteralmente ammaliati.

       Persino il mitico Chet Baker nel vederlo battere le corde ad un ritmo impressionante andò in visibilio. Il trombettista e cantante statunitense non riusciva a capacitarsi da dove potesse tirar fuori tanta stravaganza e estrosità .

       Tra le rarissimi esibizioni pubbliche di Vittorio Camardese vi fu la partecipazione nel 1965 al programma televisivo “Chitarra amore mio”, condotto da Arnoldo Foà, e nel 1970 al seguitissimo “Speciale per voi“ di Renzo Arbore dove uno stupito Nino Ferrer ebbe a dire: “E’ una cosa da matti suonare la chitarra in quel modo. Non esiste, è davvero straordinario”.

       Vittorio Camardese, che di professione fu medico-radiologo all’ospedale San Filippo Neri di Roma, non incise mai un disco, né esistono trascrizioni della sua musica, ma rimane una leggenda in quanto pioniere in assoluto del “tapping”, una tecnica da virtuosi per cui a ritmo vertiginoso le corde, invece di essere pizzicate, vengono percosse dando persino la sensazione che la chitarra accorpi in sé la sonorità di più strumenti.

       Una diavoleria quella di Camardese che ha sedotto anche la giovane regista Vania Cauzillo la quale ha girato “Il mondo è troppo per me: storia di Vittorio Camardesi”, (2022), docu-film presentato in anteprima a Torino al Seeyound International Music Festival e che su un grappolo di testimonianze ritesse la parabola artistica e umana del medico-chitarrista.

       Tra i primi a conoscere Camardese a Roma durante gli anni dell’Università fu il compianto giornalista Gianni Bisiach che ricorda: “All’epoca era per tante matricole un punto di riferimento anche grazie al suo modo di suonare”. Renzo Arbore racconta come “ Tutti avevamo un debole per Vittorio, solo attraverso la sua sensibilità si poteva capire come suonasse la chitarra in modo così bizzarro e musicale”. Invece un altro immenso cantore e musicista lucano, il “tarantolato” Antonio Infantino (anche lui morto qualche anno fa), confessa: “Camardese è stato per me un maestro, oltre alla coscienza del suono, il ritmo, l’accompagnamento e la melodia li ho imparati da lui”.

       Nel documentario, oltre la partecipazione dell’attore Valerio Mastandrea, si alternano poi le voci di Augusto Castrucci, della nipote Filli Camardese, dell’amico di liceo Vincenzo Marchese, della produttrice musicale Nicoletta Costantino ( che ricorda gli anni del primo Folk Studio), dei maestri del jazz Marcello Rosa ed Emanuele Basentini, dei chitarristi Irio De Paula e Graziano Accinni, questo ultimo accenna alla tecnica scoperta da Camardese nelle botteghe dei barbieri potentini i quali, durante le pause di lavoro, si applicavano ad adagiare sulle corde della chitarra la “tecnica doppia” della zampogna.

      In chiusura apre il proprio album di memorie un altro chitarrista, Roberto Angelini, nato da un precedente matrimonio della compagna di Vittorio il quale gli volle bene come fosse un figlio naturale. Nei ricordi di Nunnolino-Angelini riappaiono i momenti felici, ma anche quelli tristi che lentamente consumarono il menage familiare.

       Inoltre, c’è il racconto del recupero nelle teche-Rai della clip di Camardese a “A chitarra amore mio”, una volta caricato il filmato in rete è accaduto l’incredibile – dice Angelini – lo hanno condiviso in tutto il mondo”, tantissime persone – tra cui anche i musicisti Joe Satriani, Steve Vai, Brian May – hanno cominciato a chiedersi chi fosse questo prestidigitatore, illusionista delle corde.

       Vittorio Camardese negli ultimi anni della sua vita ritornò a vivere nella sua Potenza, ma il suono della chitarra non lo faceva andare più in trance, altri fantasmi si erano ormai impadroniti della sua anima.

        Morirà in una solitudine ricercata ad ottantun’anni nel 2010 e il film di Vania Cauzillo (che dir bello è poco) si risolve in un’ode ad un talento irripetibile e “ alle occasioni perdute per essere felici”. Sembra girato da un regista di lunghissima esperienza, invece la giovanissisma Cauzillo è solo al suo quarto documentario, a lei, inoltre, va il merito si aver saputo incastrare con assennatezza voci, filmati di repertorio ed animazione facendo così de “Il mondo è troppo per me” una folgorazione, oltre che un film-meraviglia.

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