“ Close” di Lukas Dhont

di Gianni Quilici

        Ho pensato, a volte, quando La linea dell’occhio era rivista cartacea di proporre un inserto su “ Quella volta piansi . . .” . Ci sono stati film, infatti, nella mia vita di spettatore, in cui ho pianto. Intendiamoci: non il pianto a cascata, la lacrimuccia trattenuta che scivola. E penso di non essere stato l’unico!

       Ecco questo tipo di emozione è accaduta vedendo Close, del regista belga 31enne, Lukas Dhont, sua opera seconda presentata a Cannes, dove ha ottenuto in concorso il Gran premio della giuria.

      Prima di vederlo, avevo notato i voti molto mediocri dei critici del manifesto e successivamente la critica di Cristina Piccino. “Close vuole essere un film che ‘emoziona’; quel sentimento, però è più sentimentalismo pensato per accarezzare le aspettative del pubblico, commuoverlo, farlo palpitare con una scrittura così organizzata (e prevedibile nelle sue traiettorie) da raggelarne ogni possibile imprevisto” e sempre la Piccino sottolinea criticamente i crescendo di pathos con i continui stacchi musicali e l’uso compiaciuto di luci accattivanti

       E’ naturale che , dopo avere letto quelle critiche circostanziate, mi sono chiesto, se fossero vere e se anch’io fossi caduto nella trappola del sentimentalismo.
Mi rispondo:” Dovrei rivederlo” . Ma allora cosa mi ha colpito fino anche ad emozionarmi? Protagonisti sono due tredicenni Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav De Waele) che trascorrono insieme il loro tempo libero, correndo in bici, lavorando nei campi, condividendo emozioni, dormendo spesso insieme nella casa dell’uno o dell’altro. Quando iniziano le scuole superiori il loro legame speciale attira l’attenzione maliziosa dei loro compagni, che darà vita ad una doppia tragedia.

       Mi ha colpito la qualità della sceneggiatura, la sottigliezza con cui vengono delineati i rapporti tra i due adolescenti. E’ un sentirsi tenero, affettuoso, forse sicuramente amoroso, ma senza diventare rapporto sessuale, se non per una lotta che questo desiderio può nascondere. Un rapporto che lascia implicite le cause, indefinito anche per loro, in ultima analisi misterioso come, in molti casi, succede nell’adolescenza.

       E’ dal suicidio di Rémi, che il film diventa tragico e emozionante. Per il sentimento di colpa che opprime Léo. Non saprei dire se sia vero che il regista abbia estetizzato furbescamente (o no) la musica e la fotografia. Penso tuttavia che la forza con cui ha trasmesso l’angoscia compressa del ragazzo sia vera e ricca di sfumature anche interpretative. E’ una disperazione di cui Léo conosce la ragione, ma di cui non riesce a parlare, nonostante faccia qualche tentativo con la mamma di Rémi. Ed è una disperazione che scarica con la violenza con cui si butta nelle partite di hockey su ghiaccio.

       Lukas Dhont ci fa vivere l’acme di momenti di angoscia, tagliandoli con un montaggio di contrasto (tra il silenzio compresso e la concitazione delle partite) molto efficace. Eden Dambrine (come del resto Gustav De Waele) è bravissimo a incarnare un personaggio così difficile.

       In tutti i casi Close è un film molto adatto per gli alunni delle terze medie e delle superiori, perché crea partecipazione emotiva e si presta ad analisi introspettive profonde, perché la storia ha un sottotesto che va oltre ciò che viene detto.

CLOSE
Regia di Lukas Dhont
con Eden Dambrine, Léa Drucker, Emilie Dequenne, Kevin Janssens, Igor van Dessel, Marc Weiss, Gustav De Waele
Belgio, Olanda, Francia, 2022. durata 105′

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