QUANDO UN REGISTA FINISCE IN GALERA E’ UNA FACCENDA CHE RIGUARDA TUTTI di Mimmo Mastrangelo

      

       Al prossimo Festival di Venezia l’iraniano Jafar Panahi non potrà essere presente alla proiezione di “No bears”, il suo ultimo film girato in clandestinità.

       Da sempre dissidente verso i tiranni governanti del suo Paese, il regista la settimana scorsa è stato condannato a sei anni di carcere in seguito ad una sentenza del 2010.

       Qualche giorno prima della condanna a Panahi, in Iran sono finiti detenuti anche altri due registi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad, per aver manifestato contro le autorità di sicurezza che si accaniscono violentemente con chi scende in piazza e protesta.

        Ora se è vero che il cinema è sempre una grande e solidale comunità del mondo, un presidio di libertà, uno sguardo che si allunga ben oltre gli steccati e i muri della violazione dei diritti, allora bisogna riconoscere che il caso di Panahi Rasoulof e Al-Ahmad non è solo l’ennesima ferita apertasi nel corpo della cultura e del cinema iraniano, ma è una faccenda sprezzante che riguarda tutti. L’umanità tutta.

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