“Il mio Rembrandt” di Oeke Hoogendijk

di Mimmo Mastrangelo

       Per gli olandesi, giustamente, continua ad essere un monumento nazionale più che vivente perché i suoi quadri fanno parlare gli addetti ai lavori e meravigliano masse di visitatori quando vengono esposti. Ma Rembrandt (Leida 1606- Amsterdam 1669) nella storia dell’arte rimane, innanzitutto, < >, si allontanò dalle convenzioni della sua contemporaneità per affermarsi con una rinnovata e prodigiosa padronanza della tecnica.

        Harmenszoon Van Rijns Rembrandt orientò la sua ricerca verso una pittura che, in particolare, voleva marcare l’aspetto più nascosto della realtà e della vicenda umana, ma si distinse da ritrattista, meglio, da maestro in assoluto del ritratto.

       Come conferma anche il docu-film (dal 6 giugno nelle sale italiane) “Il mio Rembrandt”, girato due anni fa dalla regista olandese Oeke Hoogendijk, conosciuta nel mondo per il documentario “ Het Nieuve Rijksmuseum” (2014) sul noto museo di Amsterdam di cui ne seguì per un decennio i lavori di ristrutturazione, ma il suo nome in tanti oggi lo collegano all’ultimo “I tesori della Crimea” (2021) in cui viene sostenuto che “ è un dramma, l’arte sta pagando fortemente le conseguenze del duro conflitto tra la Russia e l’Ucraina”.

        Distribuito da Nexo-Digital, “Il mio Rembrandt” è di certo un altro particolare lavoro della Hoogendijk in quanto sì celebra l’immenso talento di un artista, ma diventa speciale nello sfoggio di alcune figure che ruotano oggi intorno ai quadri del pittore olandese: dai direttori di noti musei ai galleristi, dai collezionisti privati ai mercanti d’arte, dagli storici ai critici.

        Un pugno di singole storie ben incastrate tra loro con cui si vuol dimostrare come i dipinti di Rembrandt, nonostante i secoli passati, “continuano ed essere anche fonti di avvincenti colpi di scena”.

        E dunque ecco comparire sullo schermo Richard Scott, uno dei più grandi proprietari terrieri d’Europa, confessa del suo speciale attaccamento al Rembrandt conservato in una delle sue sfarzose dimore scozzesi e che raffigura un’anziana donna “nell’ intimità della lettura di un libro”.

       Una disputa tra le direzioni del Louvre di Parigi e del Rijksmuseum di Amsterdam, nata nel momento in cui il barone Eric de Rothschild decide di vendere due Rembrandt dalla sua collezione privata, viene filmata dalla Hoogendijk la quale è fortunata nel riprendere le fasi più salienti di una vicenda che per poco non degenera in un caso diplomatico tra il Ministero della Cultura di Francia e quello d’ Olanda.

       Ma la storia più avvincente è di sicuro quella dell’ aristocratico mercante d’arte di Amsterdan Jan Six, il quale ci tiene a spiattellare davanti alla macchina da presa il suo fiuto nello scovare dipinti nascosti o meno noti di Rembrandt. Ma la sua spavalderia di esperto sembra sbriciolarsi quando la regista passa a raccontare il caso ( presentato come un scandalo sulle principali testate del mondo) in cui, sull’acquisto di un Rembrandt, tentò di aggirare un suo collega, mercante d’arte.

        Ecco questa incontrollata passione per l’arte, lo sfrenato desiderio di impadronirsi di certe opere nel film della Hoogendijk diventa lo specchio che metta a nudo un sistema spregiudicato, sorretto su quel dio denaro che, il più delle volte, offusca del tutto l’ ideale di bellezza che sempre dovrebbe accompagnare un’opera d’arte, a prescindere se sia un capolavoro o meno.

       “Il mio Rembrandt” è un film da non perderne la visione, passerà sulle piattaforme digitali dopo il breve passaggio nelle sale.

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