“Nelo Risi: il centenario della nascita” di Mimmo Mastrangelo

Il CENTENARIO DELLA NASCITA DEL REGISTA E POETA NELO RISI ): LA STAMPA LETTERARIA E CINEMATOGRAFICA DIMENTICA LA RICORRENZA, MENTRE  LA FONDAZIONE AEM  E IL MUSEO INTERATTIVO DEL CINEMA RECUPERANO I  SUOI DOCUMENTARI  INDUSTRIALI GIRATI NEL 1958 PER L’AZIENDA ENERGETICA MUNICIPALE DI MILANO

                                Il nostro  giornalismo culturale spesso difetta e  capita di distrarsi. Questa volta non c’è stato un solo cronista letterario o cinematografico che abbia messo nero su bianco per ricordare  il centenario  della nascita di Nelo Risi (Milano  1920- Roma 2015) il quale, sebbene meno noto del fratello maggiore, il regista Dino, fu un poeta e cineasta di riguardo,  che più di una volta venne accostato al “corsaro” Pier Paolo Pasolini.

Poeticamente ragionando anche  la moglie, la scrittrice ungherese Edit Bruck,   ha tenuto a sottrarre il compagno da quella   corrente ermetica di cui fecero parte i vari  Mario Luzi,  Piero Bigongiari, Alfonso Gatto per riconoscere nella sua lirica delle venature civili, persistentemente neorealistiche.

Per Nelo Risi se la poesia fu  rifugio,  fuga nella bellezza,  registro con cui poter affermare senza condizionamenti la propria libertà di esprimersi,  il cinema rappresentò per lui il lavoro, il pane della vita che, comunque, gli permise di estendere il proprio immaginario e rappresentare la sua visione sul mondo, sulla  storia, sugli stati della psiche.

Si avvicinò alla macchina da presa realizzando diversi documentari su temi sociali e storici (“Il delitto Matteotti”, “I fratelli Rosselli”), lavorò per la televisione  girando nel 1965 “La strada più lunga” con Gian Maria Volonté nei panni di un intellettuale che passa alla lotta partigiana dopo aver parteggiato per il fascismo. L’anno successivo Risi firmò il suo primo lungometraggio, “Andremo in città”,  tratto da un romanzo autobiografico della moglie che da ebrea venne internata nei lager di Auschwitz e Bergen-Belsen.

Ma  fu il caso clinico di una giovane  donna  in  “Diario di una schizofrenica” (1968) che lo fece conoscere al grande pubblico. A questo lavoro seguirono, con meno riscontri favorevoli, “Una stagione all’inferno”(1971),  biografia sul poeta maledetto Rimbaud “,  e  “La colonna infame” (1973), dramma storico ispirato al noto saggio di Manzoni e  sceneggiato insieme a Vasco Pratolini. 

Dicevamo sopra dell’oblio caduto sul centenario della nascita  di Risi, però, nel vuoto va riconosciuto l’omaggio fattogli dalla  Fondazione AEM di Milano e  dal Museo Interattivo del Cinema che hanno inserito due suoi cortometraggi   nel cofanetto antologico  sul cinema prodotto dal 1928 al 1962 dall’Azienda Energetica Municipale di Milano.

I due lavori di Risi ben si inseriscono in quella cinematografia industriale (di qualità) che fu prodotta anche nel nostro Paese, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale e con cui si cimentarono, tra gli altri,  Emmer, Olmi, Antonioni, Bertolucci, i fratelli Taviani. Il primo lavoro   di Risi si intitola “Un fiume di luce” (1958) che, su delle  illustrazioni di Mino Maccari, sintetizza la storia universale dell’elettricità, partendo  dagli   esperimenti sui generatori  di corrente da parte di  filosofi e da intrasigenti abati e dalle prime applicazioni delle scosse elettrice nelle sale di anatomia. L’altro titolo è “Acqua equivale energia” (1958), un breve documentario  in cui viene affermato in forma di propaganda come l’espansione economica e sociale di una collettività  vada di pari passo con sviluppo e l’ utilizzo delle fonti di energia.  

La riscoperta di questi lavori di Risi (e di tutte le opere della cineteca del AEM) ha una rilevanza, in quanto ci permette di riconoscere che un tassello particolare della nostra cinematografia non basta più catalogarlo nella storia del documentario, ma va  impaginato assolutamente nella  storia del cinema italiano tout court.

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