“Jean l’etoile filante” di Jean Vigo

CON IL TITOLO “JEAN L’ETOILE FILANTE” E’ TORNATA NELLE SALE FRANCESI L’INTERA FILMOGRAFIA RESTAURATA DI JEAN VIGO, IL REGISTA CHE CON “ZERO IN CONDOTTA” E “L’ATALANTE” HA PRECORSO LA CINEMATOGRAFIA MODERNA.

di Mimmo Mastrangelo

           Una cosa è certa: non si è mai fuori tempo ( o demodé) scrivere o parlare di Jean Vigo perché oggi, come ieri, a nostri occhi ci appare come un grandissimo esteta, oltre l’icona di un cinema della creazione, l’ iniziatore di un “flusso moderno” che ha strappato il cinema dalle sue origini per orientarlo verso mondi nuovi ed immaginari-altri.

           Per questo è una lieta notizia quella arrivata dalla Francia dove, grazie alla Gaumont, la filmografia lampo ( poco più di due ore e mezza di durata) di Vigo è ritornata nelle sale. Con “Jean l’etolie filante” (questo il titolo della retrospettiva) il pubblico d’oltralpe potrà (ri)scoprire nella versione 4k-restaurata un cinema “emplise” di una lirica audace, tanto dal punto di vista formale che tematico.

         Morto a soli ventinove anni nel 1934, il figlio del noto e discusso anarchico Miguel Almereyda ci ha lasciato due film cardine nella storia della settimana arte, “Zero in condotta” (1933) e “L’Atalante” (1934), nonché i cortometraggi a carattere documentaristico “A proposito di Nizza”(1929) e “Taris ou la natation” (1931), quest’ultimo è un videoritratto sul campione di nuoto Jean Taris, girato con delle meravigliose riprese sottacqua e dei trucchi e ammicchi (il campione che cammina sulle acque) che ancora oggi lasciano lo spettatore basito.

           Nonostante siano passati novanta dalla scomparsa del regista parigino, il suo l’itinerario filmico rimane incasellato nel mito e marchiato dall’impronta di un’ inalterabile giovinezza. E non solo: il nome Jean Vigo resta associato all’idea di un cinema ambizioso e libero in cui si sono riconosciuti, a partire da François Truffaut, tantissimi cineasti senza distinzione d’origine o di generazione.

         Il “Radiguet della cinematografia” ha saputo con grazia ed irriverenza mescolare l’estetismo al realismo, la poesia ad una morale sovversiva, l’humour corrosivo alla libertà di sguardo.

       Coordinate queste ben in vista in “Zero in condotta” che è un pamphlet sull’infanzia umiliata , ambientato in un collegio (simbolo della società borghese) dove lo scontro tra convittori e sorveglianti-insegnanti si fa metafora della lotta tra oppressi ed oppressori.

     

         E se “Zero in condotta” (opera del tutto censurata fino al 1945 ) < <è un sofferto inno alla ribellione in cui l’infanzia è vista come portatrice di un messaggio politico ed idealistico>>, l’altro lungometraggio “L’Atalante” è un’ avventura amorosa con dei tratti drammatici tra una contadina (l’aggraziata Dita Parlo) e un marinaio (uno svampito Jean Dastè, già protagonista della precedente pellicola), i quali trovano protezione e felicità sulla chiatta di papà Jules, un vecchio uomo di mare tatuato con la maschera di un mirabile Michel Simon.

        Girato con Vigo già aggredito dalla tubercolosi polmonare che la porterà di lì a poco alla morte, il film è una sorta di testamento spirituale in cui viene raggiunta la perfezione, la forma del capolavoro. François Truffaut scriverà nelle pagine de “I film della mia vita”: < < Vigo usa ancora il ralenti per ottenere effetti poetici, ma rinuncia all’accelerato per quelli comici, non ricorre più ai manichini, si limita a porre davanti al suo obiettivo una realtà che trasforma in incantesimo e filmando prosa ottiene senza sforzo poesia>>.

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