“Il corpo” di Michele Pennetta

di Mimmo Mastrangelo

              “La mia regola è usare solo parole che migliorano il silenzio”. Ecco, questa frase del compianto Eduardo Galeano ritorna alla memoria mentre scorrono le sequenze de “Il mio corpo” (2020). E volendo parafrasare lo scrittore uruguaiano, il regista Michele Pennetta si affida solo alle immagini per dare uno senso a dei lunghi silenzi che si susseguono nel suo film. Egli prosciuga i dialoghi per lasciare parlare il volto e il corpo dei due protagonisti.

Appunto il corpo, eletto a colonna sonora di un movimento che si tira dietro esistenze in affanno, restie ai sentimenti, segnate da una dura condizione che sembra non voler contemplare cambiamenti o redenzioni.

Ultimo lavoro di una trilogia girata tutta in Sicilia – gli altri due titoli erano “’A iucata” (2013) e “Pescatori di corpi” (2016)– “Il mio corpo “ pone in parallelo due vite: da una parte c’è Oscar, un ragazzino che vive in una di quelle periferie degradate che possono costituire un mondo a parte in un qualsivoglia centro urbano. Insieme al fratello più grande e al padre rigattiere, va per discariche a raccogliere ferro vecchio che verrà rivenduto e il cui guadagno rappresenterà l’unica fonte di reddito della sua famiglia.

Dall’altra parte conosciamo Stanley, un giovane nigeriano che, ottenuto il permesso di soggiorno in quanto rifugiato, ha trovato un piccolo impiego in una parrocchia. Ma i soldi non bastano e, dunque, sarà costretto ad andare a lavorare pure nei campi durante la raccolta dell’uva ed improvvisarsi guardiano notturno di un gregge. I vissuti e i destini di Oscar e Stanley appaiono distantissimi, ma solo apparentemente, entrambi in fondo appartengono ad uno stesso pianeta di scarto, di precarietà, di sogni già spezzati .

La macchina da presa li bracca, gli sta addosso con delle inquadrature statiche, eppure fortissime che attirano emotivamente lo spettatore. Lo sguardo di Michele Pennetta è un’idea di cinema convertita in un’idea di vita, i suoi personaggi ce li fa amare così come si presentano senza alcuna declinazione al pietismo.

L’infanzia rubata ed incompresa di Oscar ( e del fratello Roberto) scorre parallela al desiderio negato del giovane africano a svolgere una vita più dignitosa, ma “l’onda soffocante delle scelte fatte da altri” li porterà solo per una notte ad un unico approdo.

Come si vede nelle ultime sequenze del mockumentary le due solitudini si incontrano, il giovane africano lascia il suo letto al ragazzo siciliano mentre si alzano nella notte le armonie del dolente “Stabat Mater” di Pergolesi. Efficacemente e drammaticamente nel ruolo di se stessi ritroviamo Stanley Abhulimen ed Oscar, Roberto (il fratello) e Marco (il padre) Prestifilippo.

“Il mio corpo” . è tra i finalisti per i “Nastri d’argento” nella sezione cinema del reale e si può vedere on-demand su Zalabb, #iorestoinSALA.

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