“Documentario come arte” di Marco Bertozzi

di Mimmo Mastrangelo
Sono quasi tre decenni che nel nostro Paese il documentario gode di uno stato di grazia, tanto da diventare uno dei registri privilegiati del rinnovamento estetico-culturale del cinema tout court.
Certo, rimane l’atavico dilemma che il documentario venga ancora percepito in genere minore, campionario di seconda categoria delle visioni, “work-out” di preparazione per la partita decisiva da giocare sul terreno della fiction.
Nel nostro Paese rimangono da superare ancora forti pregiudizi, seppur si siano visti all’opera registi del calibro di Gianfranco Rosi, vincitore con “Sagro GRA” (2013) del Leone D’Oro a Venezia e con “Fuocommare”(2016) l’ Orso d’oro a Berlino, mentre il suo ultimo lavoro “Notturno”, già presentato all’ultimo Festival di Venezia, è candidato all’Oscar per il miglior film in lingua straniera.
Gianfranco Rosi ed altri eccellenti documentaristi (Gianfranco Pannone, Costanza Quatriglio, Pietro Marcello, Leonardo Di Costanzo, Bruno Bigoni, Salvo Cuccia, Giovanna Taviani, Andrea Segre…) hanno saputo raccontare la realtà italiana e non solo più e meglio dei colleghi che operano nella fiction, a loro va aggiunto il merito di aver fatto del documentario un cinema di scoperta e di sorpresa che ha stimolato ed incuriosito lo spettatore con punti di vista originali.
Ma volendo fare una analisi più approfondita all’interno del genere e provando ad allargare un certo discorso ben oltre i confini nazionali bisogna prendere atto – come ci dimostra Marco Bertozzi nelle pagine di “Documentario come arte” (Marsilio Editore, euro 10,00; pag. 114) – che il cosiddetto “cinéma du réel” si presenta sempre più in un’esperienza dove prosperano laboratorialità e sperimentazione, in una forma estetica in cui il rapporto con le arti visive è enormemente sviluppato .
A livello internazionale ci si è trovati di fronte ad un fenomeno in cui le immagini realistiche sono state sempre più utilizzate ed adattate per altri orientamenti filmici. Nelle sue pagine Bertozzi – attualmente docente di Cinema documentario e sperimentale all’Università Iuav di Venezia – ci dimostra come il rapporto tra cinema del reale e arti visivi è andato esplodendo anche grazie ad esposizioni (vedere “Documenta 11” di Kassel), convegni e pubblicazioni.
E’ accaduto che, attraverso molteplici vetrine e spazi, i cineasti hanno cercato di arricchire i propri film aprendosi all’arte contemporanea, mentre gli artisti visivi hanno voluto esplorare il cinema per nuove sollecitazioni e sperimentalismi. Abbiamo così assistito nello specifico ad un fenomeno in cui una certa idea documentaria, erede del realismo, si è potuta confrontarsi con una aperta dimensione dell’arte.
La realtà di questo incrocio virtuoso ha così sollecitato la necessità di riconsiderare il formalismo all’interno del realismo, di ridefinire < < una via estetica-pragmatica di documentario, che non rispondesse a un manifesto a priori, ma coinvolgesse il dispositivo filmico in un gesto multiplo, capace sia di testimoniare che di fabbricare il reale>>.
Marco Bertozzi. Documentario come arte. Marsilio. Pag. 114 Euro 10,00

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