“Still Recording” di Saeed Al Batal, Ghiath Ayoub

“L’immagine è l’ultima linea di difesa contro il tempo.”

di Silvia Chessa

In questo docufilm, di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (23 e 22 anni nel 2011, anno di inizio delle riprese del film), si fondono perfettamente la voglia di documentare la sopravvivenza della vita – anche artistica e creativa- e la guerra in Siria, a partire dalle prime rivolte del 2011 fino alla spaventosa escalation di violenza della dittatura sotto il regime di Assad:  l’orrore ma, al contempo, la vita che continua, anzi si rafforza, nel senso dell’amicizia, stretto, nella creatività e nella ricerca dei ragazzi che impugnano una videocamera come fosse un’arma, inoffensiva ma potente, di autodifesa e di costruzione di un futuro libero e migliore.

La verità della guerra, ripresa e documentata, non trasmette solo partecipazione e turbamento per le vittime innocenti, bensì lascia spazio al senso di tenerezza suscitato da tante piccole scene cariche di vita (penso alle carezze ad un gattino, alla magia purificatrice di una nevicata, al ballo e bacio dei giovani, alle battute, alla musica di un pianoforte che dolcemente avvolge e si infiltrerà, forse, perfino  fra i pertugi dei cecchini). Affiora, o almeno balugina da lungi, la speranza di una possibile risoluzione di pace in un dialogo tra un giovane soldato di Assad ed un ribelle che,  intercettata una linea di comunicazione col soldato del regime, mentre lo offende e lo provoca, cerca, al contempo, di sviluppare nell’altro domande e riflessioni che lo portino a capire come ciò che sta facendo, per il regime, non abbia senso… E magari, lentamente, in quelle comunicazioni intermittenti e travagliate, una possibilità esiste di illuminare le menti ottenebrate dalla propaganda e quasi emerge una compassione per l’ingenuità di quanti, senza strumenti adeguati, e troppo giovani, vengono  manipolati e assoldati dal tritacarne militare  dittatoriale…

Infine questo film – della durata ragguardevole ma non ridondante di 120 minuti -strizzati da 450 ore di girato e quindi sintesi di una lunga avventura- lancia come un guanto di sfida: una riflessione sul fare cinema, partendo, il film, proprio da una lezione sul cinema.

Ad esordio del film, studiando “Underworld”, un classico americano bello ma anche molto costoso (un budget che, sottolinea il prof. con amara ironia, basterebbe a costruire, in Siria, una trentina fra ospedali e scuole), si introducono elementi del sapere tecnico, come le regole dell’uomo vitruviano di Leonardo, la messa a  fuoco, la necessità di non spezzare le linee umane, il ritmo, l’armonia di una ripresa. Si mostra poi, successivamente, come tali regole vadano a cozzare con le riprese che lo stesso insegnante ha modo di fare per le strade insanguinate dai bombardamenti e dagli stermini dell’esercito: come a dire che teoria e perfezione estetica si sovvertono, trovando, di necessità, altri sbocchi, altre norme e diverse possibilità. V’è più bellezza, ad esempio, nella volontà di non inquadrare, per pudore, il volto di un amico morto in strada, o nell’idea di effettuare un giro di videocamera di 360°, usualmente insolito, e rappresentare come i corpi degli amici, nel sonno, si fondano quasi senza soluzione di continuità in una linea allegorica di naturalezza ed etica morale.

Uno dei messaggi, non ricercati ma spontanei, che ci regala Still recording è appunto il diritto alla sopravvivenza, alla fratellanza, alla fuga dall’insensatezza dello sterminio, andando, invece, verso la vita, la libertà, la difesa dei nostri basilari diritti umani.

Incluso quello, come dice uno dei ragazzi parlando con gli altri a telecamera accesa, di non dover scappare, improvvisamente, solo perché si è scesi in piazza: “Non vado alle manifestazioni perché non voglio dover scappare, e non posso non scappare, perché non voglio morire”.

Come dargli torto? Considerando, oltretutto, che questi giovani hanno, da poco, non-festeggiato, sotto le macerie siriane, i loro vent’anni.

Chiamasi democrazia quel semplice ed elementare diritto alla parola per il quale ci si immola in paesi come la Siria (ma anche altrove) e dovrebbe essere garantito universalmente, protetto e difeso da tutte le democrazie mondiali. Le quali invece tacciono, corresponsabili di una carneficina che dura da otto anni.

STILL RECORDING

Titolo originale: Lissa ammetsajjel

Regia: Saeed Al Batal, Ghiath Ayoub

Siria-Libano-Qatar-Francia-Germania, 2018, 120′

Fotografia: Saeed Al Batal, Raafat Bayram, Milad Amin, Ghiath Beram, Abdel Rahman Najjar

Montaggio: Raya Yamisha, Qutaiba Barhamji

Produzione: Mohammad Ali Atassi – Bidayyat for Audiovisual Art

Distribuzione: Reading Bloom, Isola Edipo, Kama Productions, Sindacato Italiano Critici Cinematogr

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