“Susanna Simonin, la religiosa” di Jacques Rivette

Mimmo Mastrangelo

Il tempo rinsavisce sempre  gli errori (e le censure) del passato. Per grazia del Signore. Oggi “Susanna Simonin, la religiosa” (1966) ,una delle opere più importanti nella filmografia di Jacques Rivette (Rouen 1928 –Parigi 2016),  può essere valutata  per il suo  rigore estetico e per la sua struggente storia al femminile, ma nella  Francia del tempo fece scalpore già prima che iniziassero le riprese.

Un gruppo  di  ex-studenti degli Istituti Cattolici accusò, ingiustamente, il regista di irriverenza contro la Chiesa, benché   in lui non vi fosse alcuna intenzione di “sfidare” tanto la Chiesa che la fede cristiana. Nonostante le polemiche, il film fu selezionato a Cannes e  riuscì ad avere   l’autorizzazione per il passaggio nelle sale col divieto  per i minori di 18 anni.

Ma il segretario di Stato di allora,  Yvon Bourges, bloccò le proiezioni e da questo intervento censorio partì una contestazione a favore di Rivette. Dalla redazione  dei “Cahiers du Cinéma”, dov’era stato critico il regista, si levò la protesta più dura,  inoltre fece  molto discutere l’attacco  che Jean Luc Godard rivolse al ministro della cultura, lo scrittore André  Malraux.

Nel 1967, con  Rivette che si stava apprestando a girare  il suo capolavoro “L’amour fou”, il nuovo ministro del dicastero della cultura , Georges  Gors, pur lasciando il divieto di visione per i ragazzi sotto i 18 anni, permise le proiezioni della pellicola, la quale sarà poi accolta poi con entusiasmo da critica e pubblico.

Cinquantun’anni dopo, la copia  restaurata  dal “Laboratorio  l’Immagine Ritrovata”  di “Susanna Simonin, la religiosa” è stata proiettata a chiusura del trentacinquesimo   “Festival del Cinema Ritrovato”  ( Bologna 23 giugno- 1 luglio) in presenza di Anna Karina che nel film  è la giovane suora intorno a cui si sviluppa la tragica vicenda. I

spirata liberamente al romanzo  “La religiosa”, scritto da Denis Diderot nel 1758 (ma uscì postumo nel 1796), la trasposizione filmica si avvicina alla “turbata Karina-Susanna”  costretta a farsi suora dai suoi genitori in  disgrazia economica. Accusata di essere  un’indemoniata, la sventurata passerà da un convento all’altro, finché giunge in una    “casa equivoca” dove, smarrita ogni forza d’animo, si suicida.

Il film trova una felice riuscita anche per la complicità  tra   Karina e Rivette (un maestro nel dirigere gli attori) i quali, va ricordato, già nel 1963 avevano lavorato insieme all’adattamento teatrale del romanzo di Diderot rimasto incompiuto. Accertato che  non vuol sferrare nessuno attacco frontale alla Chiesa, il lavoro firmato dal più mite e discreto regista della “Nouvelle Vague non si discosta dallo spirito illuministico di Diderot e, nel riproporre il sempre e mai risolto conflitto tra il bene e il male, si presta per una forte denuncia contro ogni forma di oppressione.

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