“L’evoluzione di una lacrima”. a cura di Stefania Rossi

Grifi_coverdi    Mimmo Mastrangelo

Da poco pubblicata,  la monografia “L’evoluzione  biologica di una lacrima” (Timia Editore pag 223, euro 14,00)  della videomaker Stefania Rossi può aiutarci a comprendere l’importanza nella  storia del cinema italiano di Alberto Grifi, di come il suo sguardo sia stato un instancabile  interrogarsi sulla resistenza del cinema e su cosa potesse dare  senso alle ombre in movimento dello schermo.

Ma ancor di più, il suo è stato un cammino di sponda, che ci mette davanti al fatto compiuto che il cinema stesso è un sistema di potere, non tanto commerciale quanto interiore, psichico.

Epigone  della “visionarietà” di Cesare Zavattini (che frequentò sin dai primissimi anni sessanta), ossia di quell’occhio diretto che pedina e  bracca  strettamente la realtà,  i film di Grifi hanno una impronta del tutto politica, ma non perché parlano di politica, ma in quanto sono pensati e realizzati  dentro una dinamica politica non scontata.

Nato a Roma nel 1938, “fiancheggiatore” di artisti come Gianfranco Baruchello, Giordano Falzoni e di figure del teatro d’avanguardia come Aldo  Braibanti e Leo De Berardinis, si può dire che nel cinema Alberto Grifi ci è cresciuto, in quanto il padre costruiva macchine da presa e di montaggio  per Cinecittà. Una artigianalità molto sofisticata di cui  è stato fortemente contaminato, difatti si deve a lui la messa all’opera del vidigrafo, uno strumento che gli ha permesso di trascrivere su pellicola il videotape dei sui film.

Divulgatore di un’idea rivoluzionaria dell’esercizio dell’arte, sosteneva che la realtà  doveva essere il luogo della creazione permanente, inoltre non si può non attestare come intorno al nome di Grifi  ha ruotato l’ underground italiano, infatti la prima opera che inaugurò nel 1964 la  stagione del nostro  cinema  sperimentale è “La verifica incerta”. Prodotto insieme a Gianfranco Baruchello e dedicato a Marchel Duchamp (che appare pure in delle sequenze), è un mediometraggio di montaggio e smontaggio di oltre 150 mila metri di pellicola di scarto di  film hollywoodiani, un’opera antesignana  del televisivo “Blob” di Enrico Ghezzi, dissacratoria  che “si pone a metà strada tra  l’operazione artistica e cinematografica, di rottura con la sintassi del linguaggio comune del cinema di consumo ed instaura  un collegamento diretto col concetto di detournement caro al situazionismo di Guy De Debord”.

Nel citare “La verifica incerta” è ovvio che non si può  non menzionare altri capisaldi della cinematografia grifiana: da “L’occhio è per così dire l’evoluzione biologica di una lacrima”, rimontato su ritagli di pellicola del film “Deserto Rosso” di Michelangelo  Antonioni, a  ” Viaggio con Patrizia” (1967)  con  la poetessa e compagna dell’epoca Patrizia Vicinelli ; da “Il grande freddo” (1971) – un corto  sull’affermazione  e la negazione dell’arte attraverso la schizofrenica pittura di Giordano Falzoni –  ad “Anna (1972), un’ opera fiume di oltre  tre ore, filmata con Massimo Sarchielli e che – come scrive Stefania  Rossi – sfugge sì ad ogni classificazione, ma rimane uno degli esempi più alti della controcultura cinematografica.

Importanti  titoli  sono pure “Parco Lambro (1976),  “Michele alla ricerca della felicità” (1976) a “Addò sta Rossellini” (1996), quest’ultimo “un lavoro sul rimosso cinematografico” e  girato con il salernitano Michele Schiavino proprio nei luoghi  della Costiera  Amalfitana scelti  da  Roberto Rossellini  per alcuni dei suoi più  noti film.

Una filmografia quella  di Grifi  che è riuscita a  ridefinire la (le) sintassi dell’audiovisivo partendo, spesso, dal lavoro di montaggio e cercando di invertire lo spazio mentale e di approccio dello spettatore. Un cantiere senza barriere limitanti il suo immaginario che ” spazia tra generi cinematografici differenti in uno spigoloso gioco di richiami tant’è che certi temi cari non vengono mai abbandonati, ma riformulati, adattati a nuovi contesti, in un continuo processo di arricchimento che fa della sua attività  un insieme  diversificato ma compatto, sempre coerente”.
Alberto Grifi, che non amava essere riconosciuto  in regista, è morto nel 2007 dopo una lunga malattia.

a cura di Stefania Rossi.  “L’evoluzione di una lacrima”. Timia Editore. Pag. 233. £ 14,00

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