Inserto 68. “Pasolini e il 68” di Gianni Quilici


cinema1968Pasolini è stato l’artista (chi crea) e forse l’intellettuale (chi pensa), che più ha compreso il ’68 nei suoi limiti profondi. E lo ha capito perché, oltre ad altro, è stato un grande semiologo della società, sulla quale ha proiettato uno sguardo analitico e penetrante per almeno due ragioni:

uno, perché conosceva direttamente la realtà sociale, sopratutto quella giovanile e più marginale, quella, cioè, che presentava gli indizi più precoci di dove l’Italia stava andando. Il suo strumento conoscitivo era, infatti, la sua esistenza, la sua diversità, l’amore verso i ragazzi sottoproletari, che stavano deformandosi anima e corpo a causa di questo sviluppo.

Due, perché il suo sguardo non era soltanto acutamente descrittivo, ma antropologico. Basterebbe leggere o ri-leggere quel piccolo capolavoro sociologico-letterario che è Gennariello da Lettere luterane, per comprenderne l’originalità e la ricchezza.

Quando Pasolini attacca violentemente il movimento studentesco con quella (da lui stesso definita “brutta”) poesia “Il Pci ai giovani”, (egli) non provoca soltanto, lancia affermazioni su cui ritornerà in interviste ed articoli, che colgono da subito i limiti del nascente movimento. Pasolini ( e forse con più profondità un sociologo, Carlo Donolo, in Quaderni Piacentini n. 35) coglie nella maggioranza degli studenti un presente (masse dissenzienti della sottocultura consumistica del neo-capitalismo), che ha alle spalle un passato (la cultura dei Padri, da cui hanno assunto linguaggio, conformismo e desiderio di potere) ed un futuro che sempre più intravede senza speranze: quello che chiamerà, qualche anno dopo, un vero genocidio culturale e antropologico.

Pasolini considererà il 68 come una “rivoluzione borghese”. La borghesia scrive “voleva spazzare via tutto ciò che ostacolava i nuovi rapporti produzione-consumo: la cultura, l’arte, il mondo artigianale, il mondo agricolo di piccoli possedenti, la Chiesa stessa. Tutte cose di cui non aveva più bisogno”. Gli studenti saranno strumento inconsapevole di una Mente più vasta. L’operazione che non era riuscita al fascismo riesce, secondo Pasolini, a realizzarla il nuovo potere, un potere totale, che cancella il passato: le sue ideologie, le sue religioni, le sue forme di vita, i suoi mille linguaggi. Sopratutto attraverso la televisione, che assimila a sé l’intero paese, storicamente differenziato e ricco di culture originali, imponendo i modelli del consumo. Il suo (di Pasolini) sarà il grido. Il grido del poeta, che usa pathos e sapienza stilistica per farsi ascoltare e capire. Il grido dell’analista per l’intelligenza analitica con cui decifra alcuni aspetti particolari di questo genocidio (i giovani sottoproletari, la TV, uno slogan pubblicitario, i capelli lunghi ecc). Il grido di chi sa utilizzare genialmente i simboli (le lucciole e la scomparsa delle lucciole, il Palazzo e il Processo al Palazzo) e l’anafora come procedimento stilistico della requisitoria o dell’invettiva.

Tuttavia il rapporto di Pasolini con il movimento e i suoi gruppi sarà sempre duplice:

da una parte di critica, senza i paternalismi o peggio la negazione di sé di altri intellettuali;

dall’altra di (relativa) partecipazione tanto da decidere nel 1970 di “prestarsi” a Lotta Continua per fare “12 dicembre” un documentario sulle bombe di Piazza Fontana. Come scelta di “testimonianza politica”. Ma finita questa illusione Pasolini sceglierà di “gettare il suo corpo nella lotta”. E sarà una lotta individuale, diretta, urlata contro il Palazzo, ma anche contro i vari “conformismi di sinistra”. Un Pasolini per certi versi nuovo, il Pasolini “luterano” e “corsaro” ancora oggi “tremendamente” attuale.

Che cosa Pasolini non ha capito o meglio non ha voluto capire, non gli è interessato di capire? Quella parte del 68, che nasce dal Pci, la sinistra ingraiana, il manifesto. E’ questa la parte più avanzata culturalmente, politicamente, strategicamente. E’ quella che faceva e continua a fare i conti con la Storia e con il neocapitalismo. Ma si sono, più o meno, vicendevolmente, ignorati.

da La linea dell’occhio

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