“Sara Forestier e La schivata” di Gianni Quilici

la-schivata-mediumTutti gli attori de La schivata sono straordinari.

Per una ragione molto semplice: spariscono come attori e vivono invece come personaggi. Personaggi adolescenti d’una banlieu parigina multietnica ( fanno venire in mente alla lontana L’odio di Mathieu Kassovitz), che transitano in quell’età difficile, in cui l’identità personale è incerta e squilibrante e che si esprimono con aggressività o, agli antipodi, con il silenzio. I dialoghi, felicissimi, diventano un grumo di conflitti interpersonali, che nascondono gelosie e paure, invidie e desideri e rivelano un gergo giovanile inventivo e “musicale”, che traduzione e doppiaggio possono trasmettere solo limitatamente.

Vivono tutti, chi più chi meno, come personaggi nascosti a se stessi; con un’aggiunta: devono recitare in uno spettacolo teatrale tratto da Marivaux, che stanno preparando a scuola, percorso da un’ironia sociale, lontana dai problemi che essi vivono e, a loro modo, esprimono. Ciò è impossibile per Krimo ( Osman Elkharraz), incapace di sdoppiarsi, di essere cioè un Arlecchino vitale ed esuberante, perché ha una storia alle spalle, che intravediamo, che lo rende sentimentalmente afono e mentalmente fisso, quasi bloccato. Così recita (bene) la sua incapacità di recitare.

Non così è per Lydia (Sara Forestier).

La vediamo all’inizio, mentre non è sicura del vestito che le è stato confezionato dal sarto asiatico, e poi mentre ne contratta il prezzo con la spavalderia popolare di una Anna Magnani adolescente. La vediamo poi successivamente come attrice nelle prove dello spettacolo, con la sicura baldanza di chi si sente nel ruolo e con il compiacimento del personaggio, Sylvie, interpretato, ma forse con una sottolineatura esibita di autocontemplazione (lo sbattere del ventaglio), ambiguamente al limite tra il personaggio e l’attrice, ma che risulta, in ogni caso, “tenero”, perché evidenzia l’adolescenzialità di Lydia. La vediamo infine silenziosa, oltre le maschere sociali, quando affiorano i suoi sentimenti, o quando deve esprimerli e non sa e non vuole esprimerli.

A questo Sara Forestier aggiunge un volto grazioso, duttile e pungente, che attraversa lo schermo e s’impone: rimane scolpito.

Merito del regista Kechiche o dell’attrice? Sono domande che non hanno risposte o ne hanno di banali. Si può dire, in questo caso, che sicuramente grande merito è di Abdellatif Kechiche, come regista e sceneggiatore (insieme a Ghalia Lacr), per la costruzione di personaggi, la direzione e la concertazione di attori alle prime armi. Si può dire anche che Sara Forestier è bravissima a incarnare il personaggio più articolato. Il risultato finale, quello dello schermo, sta in questa misteriosa (per noi spettatori) fusione. Se per Sara Forestier si apriranno grandi orizzonti sarà il futuro a dircelo. L’inizio è molto promettente.

da La linea dell’occhio


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