Cinema ed io. “Una sala buia e il mistero” di Mario Rocchi


Ladri di biciclette

Il cinema. Una sala buia e il mistero. Il primo contatto? George O’Brien e le sue cavalcate con la pistola in mano. Poi “Caravaggio. Il pittore maledetto” che si trascinava morente nella palude, “Giarabub” e la propaganda fascista, “Noi vivi- Addio Kira” con una melanconica Alida Valli, e poi, con un salto, “Serenata a Vallechiara” e via di seguito sino alla scoperta del neorealismo italiano.

Ma anche se si affrontava la realtà cruda, il mistero rimaneva, quello di vite fittizie che prendevano corpo da un fascio di luce che penetrava con fatica il fumo asfissiante della sala. Nella campagna delle mie estati si diceva che una vecchietta contadina, all’avvicinarsi prorompente in primo piano di un cavallo montato da un cow-boy, si levasse uno zoccolo e lo tirasse verso lo schermo. Leggende contadine, ma sicuramente il cinema era anche questo, cioè non solo fatto dalla proiezione di un film, ma anche dalla partecipazione del pubblico.

Il cinema voleva dire domenica, festa. Ma mi piaceva anche, più grandicello, trovare i soldi per andarci di pomeriggio feriale, con poca gente, senza la confusione ed i salti di poltroncina. Mi riusciva penetrare meglio nella storia e parteciparvi emotivamente.

Per “Ladri di biciclette” eravamo in pochi fanatici. E qualcuno, capitato per caso, usciva borbottando. Poi la nouvelle vague francese, la spendida stagione del cinema italiano con i più grandi registi dell’epoca, le sorprendenti pellicole dei nuovi registi tedeschi, quello americano vivo, incisivo, controcorrente, che si distingueva dalla normale produzione hollywoodiana.

Quindi l’oggi inondato da effetti speciali, o da commediole giovaniliste, e le sale sempre più vuote che si riempiono solo quando lo spettacolo è assurdo come le avventure dei fumetti “nobilitate” dagli effetti speciali, o è umoristico di basso livello. Cioè si ha successo se si soddisfano i gusti televisivi. La tv fa da padrona anche sul gusto, lo condiziona. E’ il nuovo fascismo, la nuova demagogia, come diceva Pasolini.

Ma il cinema resta pur sempre un’affascinante ipnosi fatta da ventiquattro ombre al secondo proiettate su di uno schermo e in cui noi, pur sapendo che è un’illusione, entriamo dentro, ne diventiamo parte e ci dimentichiamo del suo carattere illusorio.

da La linea dell’occhio 58

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