“Lettere dal Sahara” di Vittorio De Seta

di Gianni Quilici

Fa piacere che si siano spese tante parole per il ritorno nel cinema di Vittorio De Seta, soprattutto che diversi lo abbiano definito e riconosciuto come il più grande documentarista italiano, ma fa arrabbiare (sentimento tra i più nobili) che per 20 anni non abbia potuto (contrariamente alla sua volontà e ai suoi propositi) realizzare alcun film, quando sono centinaia e centinaia, nel frattempo, i film inutili in tutti i sensi, che, invece hanno avuto “ascolto”. Forse non a caso: forse perchè la moralità di De Seta è pari al suo talento ed il suo talento si nutre di rigore e di ricerca, modi di essere lontanissimi dai facili effetti oggi in auge.

Lettere dal Sahara è un film che apparterrà sia alla storia d’Italia che a quella del Senegal e a quella in generale dell’Africa. Perché De Seta si pone dal punto di vista di un giovane senegalese, emigrato in Italia, che possa simbolizzarli tutti e al massimo livello. Un senegalese, infatti, che, da una parte, subisce violenza e oppressione: la tragica traversata su barca, lo sfruttamento e l’estrema precarietà del lavoro, la possibile collusione con la criminalità organizzata, la violenza da parte di bande antistranieri ecc; dall’altra però (questo giovane) ha un’autonomia culturale, presenza e dignità personale ed anche un minimo di progetto.

Il suo viaggio è circolare: parte dal Senegal ed ivi ritorna, con la differenza che l’approccio con l’Italia l’ha segnato e profondamentee cambiato.
Un film duro per ciò che racconta, ma lieve per la fluidità dello stile, dove la speditezza della macchina digitale scorre attraverso un montaggio rapido e stringato, in cui i flash-back (la terribile traversata) sono schegge velocissime dell’immaginazione, non racconto piano.

Lettere dal Sahara esplora un punto di vista (quasi) ignorato dal cinema italiano ed è poetico ed essenziale soprattutto quando sono le immagini più che le parole a parlarci; risulta, invece, meno efficace laddove diventa intreccio (la parte centrale di Torino), perchè, a quel punto, la storia avrebbe bisogno di una maggiore dialettica-motivazione-complessità. De Seta evita la trappola sentimentale (l’amore troppo scontato), ma non l’orditura da filmato televisivo attraverso cui il protagonista sembra “facilmente” integrarsi.

La parte finale, il ritorno nel Senegal, è grandiosa e ariosa negli spazi ed il discorso del “maestro” è una formidabile sequenza su come si possa essere nello stesso momento didattici, politici e poetici.

da “La linea dell’occhio” n. 56

LETTERE DAL SAHARA
Regia: Vittorio De Seta
Cast: Djibril Kebe, Paola Ajmone Rondo
Produzione: Metafilm, A.S.P.
Distribuzione: Istituto Luce
Nazione: Italia
Anno: 2006
Durata: 123′


Lascia un commento