“Il prezzo che paghiamo” di Sara Manisera

“IL PREZZO CHE PAGHIAMO”  DOCUMENTARIO DI SARA MANISERA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI CAUSATI  DALLE ATTIVITA’ DELLE MULTINAZIONALI  DEL FOSSILE. UN DOCU-FILM CHE E’ UNA BOMBA

   di   Mimmo Mastrangelo

Dietro il cambiamento climatico, le sempre più frequenti  e catastrofiche  calamità naturali (alluvioni, inondazioni, siccità…) ci sono le responsabilità delle multinazionali del petrolio le quali rimangono sorde agli allarmi manifestati sempre con più frequenza dalla  comunità scientifica.

E’ il resoconto-verdetto che viene fuori  da “Il prezzo che paghiamo” diretto da Sara Manisera e prodotto da Greenpeace Italia   e ReCommon, associazione che si occupa, tra l’altro, della difesa dei territori. Poco più di trenta minuti per un docu-film che è una bomba, una denuncia dura, schietta su, appunto, il prezzo  che si è costretti a pagare a fronte dell’arroganza, del potere (economico e politico)  delle  “imprese  big del fossile”.

Nel preambolo del documentario  vengono snocciolati  dati riguardanti il cambiamento climatico avvenuto negli ultimi vent’anni che ha aggravato i danni degli eventi meteorologici più pericolosi e causato oltre mezzo milione di morti. Le immagini poi portano in Emilia Romagna dove l’alluvione del maggio 2023 ha determinato danni per nove miliardi di euro,  la testimonianza di un’agricoltrice del posto, che ha visto perdere abitazione e azienda, fa capire quanto la gente comune sia impotente di fronte a cataclismi che devastano  i territori, stravolgono le esistenze e scaturiscono – come sostiene  Davide Faranda, direttore  di ricerca in climatologia del CNRS – dall’aumento nell’atmosfera dei gas serra dovuti all’attività connessa ai combustibili fossili (petrolio, carbone e gas).

Esperti di centri di ricerca statunitensi e Stella Levantesi, autrice del volume “I bugiardi del clima”, svelano l’esistenza di  documenti  attestanti che già dagli anni settanta le “big-oil”  erano a conoscenza dei danni delle attività estrattive sugli  uomini, sui territori e sulle economie del mondo. Chevron, ExxoMobil, Shell, Total, Eni all’epoca erano già state avvertite  dei “loro” impatti disastrosi sul clima e, ciononostante, ad oggi  niente ancora  fanno per allinearsi al trattato internazione  di Parigi del 2015 che vincola i firmatari a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C.  

La nota giornalista e autrice televisiva Milena Gabanelli, invece, sposta l’attenzione ad altro campo, su come le multinazionali succitate per pulire il proprio operato,  “mantenere una propria licenza sociale”, comprano pubblicità, sostengono eventi culturali e sportivi, firmano partenariati con fondazioni, università, enti, istituti. <<Quando comprano una pagina di pubblicità su una testata – attacca la Gabanelli – non lo fanno per vendere il loro prodotto, non ne hanno bisogno. Piuttosto lasciano intendere a chi fa informazione che non vogliono essere rotte le scatole>>.

Nell’ultima parte del corto lo sguardo di Sara Manisera si allunga sulla Val D’Agri (Basilicata) dove è attivo per Eni il più grande impianto petrolifero su terraferma d’ Europa. Il racconto delle voci interpellate dalla regista è duro, amaro, denuncia il sopruso ai danni di un territorio dove la scelta di investire sul petrolio è stata  imposta dall’alto, <<forzata e non democratica>>. Giorgio Santoriello (Associazione Cova Contro) dimostra attraverso un sensore che la  “fiamma-flaring” del Centro Oli è in realtà un congegno che  incenerisce rifiuti gassosi e non un sistema di sicurezza come viene fatto passare dall’Eni. Isa Abate denuncia l’assurdità di aver voluto installare un pozzo a ridosso dell’ospedale territoriale  di Villa d’Agri. << Fa male veder installato un pozzo laddove ci sono le sorgenti d’acqua – afferma la guida ambientale del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano -.

Di fronte a questa situazione tra la gente, le associazioni del posto prima era forte un sentimento di rabbia, oggi prevale, purtroppo, la rassegnazione>>. Infine, Camilla Nigro (Osservatorio Popolare Val D’Agri) sostiene: <<  Con le royalties del petrolio è vero   si finanziano  scuola, università,  sanità, manifestazioni varie, ma la  Basilicata rimane una  regione povera…>>. Basilicata terra di povertà, di giovani che vanno via e non tornano più, chi invece vi  ha fatto  profitti profumatissimi negli ultimi cinque lustri  è l’Eni  che, va ricordato, è stata condannata per traffico illecito di rifiuti al Cova di Viggiano  e  di recente ha presentato un piano strategico per il prossimo triennio ancora basato su gas e petrolio, nonostante vada propagandando  “una trasformazione industriale” volta a raggiungere per il 2050  una emissione di gas pari allo zero.

Dalla scorsa settimana nelle sale, “Il prezzo che paghiamo  è un docu-film con una sua veemenza persuasiva, cozza tagliente come la lama di un coltello  nel negazionismo climatico declinato dalle “big-oil” attraverso delle continue  strategie d’inganno. Quello di Sara Manisera è  uno di quei piccoli lavori che, di tanto in tanto, si abbattono sul nostro cinema come dei felici incidenti,  con una posizione (e una sguardo) morale  tale da riuscire  a conquistarsi anche una vita ben oltre lo schermo perché fanno parlare. Importunano le coscienze.


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