NELLE SALE “BREATH” DELLA REGISTA ILARIA CONGIU ALLA SUA OPERA PRIMA.
di Mimmo Mastrangelo
Una storia sul mare, meglio una storia d’amore sul mare. Questo è “Breath” (Respiro), docu-film da pochi giorni uscito nelle nostre sale e girato da Ilaria Congiu.
Cresciuta fra il Senegal e l’Italia, la giovanissima regista (alla sua opera prima) è ritornata nella sua Dakar dove, dalla metà degli anni ottanta, il padre Francesco vive e porta avanti un’azienda che esporta fuori dai confini nazionali pesce congelato. Per Ilaria Congiu “il mare è stato sempre il mio compagno di vita”, ma con il tempo l’ha visto diventare “spoglio e silenzioso”, l’azione scellerata dell’uomo, il cambiamento climatico, la pesca industriale ne hanno impoverito i fondali e devastato l’equilibrio. E il ritorno nella capitale senegalese è stata per la regista un modo pure per capire se, in un posto dove “la pesca è ancora sostenibile e i pescatori vanno ancora in mare con le piroghe”, l’impresa del padre contribuisca agli stravolgimenti negativi. Certo, è paradossale scoprire che sulla tavola della stragrande maggioranza degli abitanti di Dakar non arriva il buon (e ricercato) pesce locale, ma quello importato dalla Cina, perché costa molto meno.
Prodotto da Mediterraneo Cinematografica e Mescalito Film, “Breath” è un film di denuncia sulle multinazionali che nel mondo gestiscono con spregiudicatezza la pesca utilizzando enormi reti a strascico, e <<chi sale sui grandi pescherecci – afferma il biologo marino Silvio Greco – non sono pescatori ma lavoratori qualsiasi, fare bulloni o andare per mare per loro è la stessa cosa>>. In questo “sistema sciagurato” che comporta forti ripercussioni sociali e il depauperamento della fauna marina, ci sguazzano quelle imbarcazioni che trasportano dalla Calabria a Malta “gabbie volanti” con dentro migliaia di tonni tenuti all’ingrasso per essere uccisi una volta giunti a destinazione.
“Breah” è un film che cerca di afferrare il respiro, il suono, lo stato di salute del mare, e la Congiu lo fa incontrando, lasciando parlare – oltre il padre e Silvio Greco (che ricorda gli enormi quantitativi che l’uomo riversa nel mare e le dannose isole di plastica presenti nei fondali) – la direttrice del Forum Mondiale del Mare, Rym Benzina Bourguiba, impegnata da anni in campagne di sensibilizzazione, un pescatore senegalese il cui dolente racconto si specchia con quello del giovane collega italiano che lamenta come le leggi della Comunità Europea non tutelino chi si guadagna da vivere in mare senza far parte del giro dei grandi pescherecci. Infine, si vede la campionessa mondiale di immersione in apnea Alessia Zecchini che, prima di una discesa nei fondali, rilassa il proprio corpo, incamera ossigeno e tiene a farsi testimone degli abissi che accolgono, abbracciano e “si lasciano scoprire”.
E’ un film “Breath” sì su uomini e donne che non sanno far a meno del contatto col mare, col sale che si deposita su pelle ed occhi, ma allo stesso scorre come se una figlia e un padre volessero ricucire un legame, dirsi le cose che non si sono mai dette, ritrovare una comune condizione, un uguale sguardo – come avviene nell’ultima sequenza – tra la luce di un tramonto e il rumore dell’oceano, tra il vento che si alza e il respiro dell’acqua.