“Mors tua vitae mea” di Salvatore Metastasio

di Mimmo mastrangelo

                        “E mo?”  (E adesso?). Con sguardo spaurito, puntato dritto alla macchina da presa che Angelo Paradiso – il soldato protagonista del film di Salvatore Metastasio “Mors tua vitae mea” – tira fuori nell’ultima inquadratura quell’espressione (< >) quasi a voler interrogare se stesso: cosa farà ora che è tornato a casa dalla guerra? Potrà riprendere il suo lavoro, ritroverà la donna che amava? Gli verrà riconosciuto dalle autorità (e dai suoi concittadini) il suo impegno per la Patria, riuscirà a liberarsi dal ricordo degli orrori vissuti?

Sebbene un po’ lungo (ma va detto che il tempo dilatato nei lavori di Metastasio è scelta volutamente stilista e di metodo, lo si può evincere già dal primo lungometraggio), “Mors tua vitae mea” è un film che sbatte sullo schermo tutta la crudeltà della grande guerra. E’ una scossa, un invito a prendere consapevolezza della vigliaccheria dei vertici delle nostre truppe, della esecuzioni sommarie (i libri che si studiano a scuola non ne parlano) che si consumarono nell’esercito italiano anche in risposta ad episodi di (giustificato) ammutinamento.

Ottobre del 1917: sotto l’attacco dell’esercito austro-ungarico-tedesco, le nostre forze subiscono nella battaglia di Caporetto una pesante e dolorosissima sconfitta. Angelo Paradiso è un contadino materano che al fronte, dopo la disfatta di Caporetto (o della dodicesima battaglia dell’Isonzo) ,finisce davanti al plotone d’esecuzione. Ma al momento che la sua vita sta per emettere l’ultimo respiro, un attacco dell’esercito nemico gli permettere di fuggire ed avventurarsi (a piedi) lungo la penisola per far ritorno nella sua povera città del Sud, all’epoca ancora “vergogna nazionale”. Dopo aver respirato solo puzza “di morte e piscio”, inizia, in un paesaggio innevato, un viaggio durissimo che a tratti diventerà allucinatorio. Un road-movie in cui il nostro protagonista – che non spiccica una sola parola in italiano, parla e bofonchia solo in stretto dialetto materano – incontrerà una filiera di umanità con cui sfogherà tutta la rabbia che tiene dentro per quello che ha visto e vissuto. E non per caso quella nota espressione che dà il titolo al film (Mors tua vitae mia) diviene un modo per mettere a nudo il cinismo della guerra narrato dalla prima all’ultima sequenza.

Convincente nella parte del protagonista l’attore salernitano Pierluigi Gigante, brava è anche Lucia Ceracchi nel ruolo sofferto di una giovane donna che vive sola in un casolare dopo essere stata al fronte per star vicino al fratello soldato, ma il merito più grande va riconosciuto al regista di Marsicovetere per aver girato (tra la Val D’Agri e il materano) un film che cattura lo spettatore per la veemenza delle immagini e aver raccontato, senza retorica, l’altro volto atroce della guerra, quello oltre il campo di battaglia.
Un lavoro onesto e attento è “Mors tua vitae mea” il quale, in fondo, ci invita a ricordare: il primo conflitto mondiale è stato uno dei più feroci ed insensati crimini nella storia dell’umanità.

Mors tua vitae mea di Salvatore Metastasio con Pierluigi Gigante e Lucia Ceracchi. Italia 2020

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