“Resistance” di Marcel Marceau

di Mimmo Mastrangelo

                          Si dirà: ancora un altro film sull’olocausto. E’ vero il genere (anche se non bisognerebbe parlare di genere) ha una floridissima collana di lavori riusciti o meno, ma “Resistance: la voce del silenzio” racchiude una incredibile storia realmente accaduta che il quarantaduenne regista e scrittore venezuelano (ma di famiglia ebrea-polacca) Jonathan Jakubowicz bene ha fatto a portare sullo schermo. Facendo così conoscere uno spaccato poco noto o del tutto ignoto della vita di Marcel Marceau (Strasburgo 1923- Cahors 2007), il più grande mimo-attore del novecento che ha reso il suo teatro, centrato tutto sulla gestualità del corpo (ecco la voce del silenzio) un’ arte a tutti gli effetti.

            Fino a poco meno che ventenne, Marceau svolge una vita normale: di giorno lavora nella macelleria del padre (ebreo che morirà nei campi di concentramento) e di sera va esibendosi nei locali notturni di Lione, cercando di modellare la sua arte sul personaggio del Vagabondo di Charlie Chaplin. Ha un’aspirazione sola lo svampito Marcel Mangel (questo il suo vero cognome) diventare un grande attore e fare di ogni momento della sua vita arte, ma questo suo sogno dovrà momentaneamente accantonarlo. La storia incombe. Su sollecito del fratello Alain e del cugino Georges Loinger viene convinto ad unirsi ad un gruppo della Resistenza ebraica francese di cui fa parte anche Emma, una ragazza politicamente impegnata che già conosce e verso cui il mimo palesa le sue attenzioni. Da “maquisards” a Marcel, Alain ed Emma non toccherà abbracciare nessun arma, loro avranno da compiere una missione ben più importante e pericolosa: portare oltre il confine con la Svizzera degli orfani ebrei per salvarli dal piano di sterminio di Klaus Barbie, “il boia di Lione” che sarà condannato per crimini contro l’umanità guerra solo molti anni dopo.

               Costruito sulla testimonianza diretta data a Jakuwowicz da Georges Loinger (è morto a 106 anni nel 2018), drammatico e liberatorio, “Resistance “è un film in fondo più sul concetto di salvezza che su quello di guerra e sterminio. Di Marcel Marceau sullo schermo non si trascuri la parte dell’ intrattenitore che con la sua pantomina riesce a strappare il sorriso ai bambini che avuto in affidamento, ma sequenza dopo sequenza emerge la sua visione sulla lotta partigiana: più giusto rischiare la propria vita per salvare dei bambini piuttosto che gettarsi in un conflitto difficile da vincere.

           Nel dialogo più commovente e politico del film Marcel domanda ad Emma: < >. E lui si dà la risposta: < < Un giorno i nazisti saranno condannati, ma i bambini salvati, vivranno, formeranno delle nuove famiglie…>>. Nella loro sopravvivenza è inscritto il futuro.
Da marzo campione d’incasso nelle sale-teatri indipendenti degli Stati Uniti e in Italia da qualche giorno sulla piattaforma on-demand, “Resistance” ben si tiene in equilibro per come sono incastrati i diversi piani-temporali dei fatti, è incalzante per la rischiosa ed avventurosa fuga verso la salvezza di Marcel e gli altri, ma chi fa film e lo rende davvero un gran film è la prova persuasiva di Jesse Eisenberg (Marceau), Clémence Poesy (Emma), Felix Moati (Alain) e della piccola Vica Kerekès (Mila).

Resistance – La voce del silenzio di Jonathan Jakubowicz. Con Jesse Eisenberg, Ed Harris, Clémence Poésy, Edgar Ramirez, Alicia von Rittberg. Biografico, – USA 2020. –

. “

I commenti sono chiusi.