“Il padre dei miei figli” di Mia Hansen-Løve

di Gianni Quilici

il padreLa storia è vera. Non esattamente così come viene raccontata. Ma Humbert Balsan, proprio come Gregoire Canvel, protagonista de Il padre dei miei figli, si tolse la vita nel febbraio 2005, durante la lavorazione di un film di Bela Tarr (che nel film diventa svedese, col nome di Stig Janson). Era sull’orlo del fallimento economico e quel cinema a cui tanto aveva dato lo stava tradendo. Lasciò in eredità un catalogo di una cinquantina di film ipotecati, e una montagna di debiti. Mia Hansen-Løve, giovane regista e attrice di Olivier Assayas, che esordì grazie a Balsan (il suo Tout est pardonné fu completato dopo la sua morte), ha realizzato con questo film un omaggio vivo e lucido ad un uomo di cinema coraggioso, intraprendente, ma forse anche un po’ incosciente.

Il film è diviso in due fasi: nella prima protagonista assoluto è il produttore; nella seconda, con la sua scomparsa, sono la moglie e la figlia più grande ad alternarsi come comprimari.

Il film funziona nella prima parte, in cui Mia Hansen-Love rappresenta in modo penetrante e forse anche originale la frenesia con cui Gregoire Canvel vive il suo mestiere. Lo vediamo continuamente in movimento: in macchina, sale-scende, esce-entra, telefona-riceve telefonate, risponde, ordina, rimanda, rassicura. Corre dietro i fatti, cerca di risolvere ogni problema o li rimanda; mai si ferma ad esaminare il “punto in cui si trova” con se stesso, con le collaboratrici. C’è insieme alla generosità, all’amore per il cinema anche la chiusura a un bilancio netto, severo con il proprio operato, mentre la situazione sta precipitando. Ecco, l’aspetto più interessante del suo ritratto sono queste due facce. Per un verso l’amore non solo verso il cinema, ma anche nei confronti della famiglia: ha un rapporto fresco con le figlie, due bambine deliziose, che interagiscono in modo sorprendentemente creativo con lui e una adolescente che, in una fase delicata, gli pone “problemi”; per un altro verso la scelta egoistica e irresponsabile del suicidio, come se il fallimento finanziario e cinematografico fosse la fine dei suoi sogni e della sua vita e non ci fosse in lui anche il padre, l’uomo, il cittadino.

Nella seconda parte manca un altro centro altrettanto forte. La moglie, che cerca di salvare la casadi produzione, e la figlia più grande, che sente la solitudine e anche la rabbia verso un padre che uccidendosi si è sottratto al loro amore, non hanno tuttavia la forza di imporsi. Soprattutto la moglie (Chiara Caselli) è personaggio fragile: dapprima non intuisce quasi per niente il crollo del marito; poi cerca di prendere possesso del lascito produttivo ereditato, ma il suo è semplice volontarismo, non crea contrasti che possano, anche nella sconfitta definitiva, “toccarci” emotivamente, intellettualmente, cinematograficamente. Poetico nella sua intensa sobrietà il suo dolore delle figlie, dopo il suicidio. Bravissimo Louis-Do de Lencquesaing, nel ruolo del produttore, notevole la spontaneità delle bambine e la furia dolente della figlia adolescente (Alice de Lencquesaing), che nella vita è realmente la figlia di Loui-Do.

 

padre dei mieiIl padre dei miei figli ( Le père de mes enfants)

Regia: Mia Hansen-Løve; Sceneggiatura: Mia Hansen-Løve;

Interpreti: Louis-Do de Lencquesaing, Chiara Caselli, Alice de Lencquesaing, Alice Gautier, Manelle Driss, Eric Elmosnino, Sandrine Dumas.

Fotografia: Pascal Auffray; Montaggio: Marion Monnier; Scenografia: Mathieu Menut; Costumi: Bethasbée Dreyfus; Musica: Vincent Vatoux, Olivier Goinard;

Produzione: 27 Films Productions, Les Film Pellèas, Arte Cinema France, Centre National de la Cinèmatographie, Canal+, CinéCinéma, Centre Images- Région Centre, Filmförderungsanstalt, Cinémage 3, Cofimage 20, Programma MEDIA de la Communautè Européenne ; Distribuzione: Teodora Film; I; Origine: Francia/Germania; Anno: 2010; Durata: 110′.


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