“Copia Conforme” di Abbas Kiarostami

di Gianni Quilici

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Dopo metà film ho pensato: “E’ un film libero”, uno di quei film (si pensi anche a certo Rohmer), in cui ciò che è filmato, e come, non ha la necessità dell’intreccio, ma (ha) il flusso di una vita selezionata al punto di essere così viva e significativa, da risultare sorprendente.

Vediamo all’inizio il pubblico, in attesa per un incontro, annoiato e distratto; l’organizzatore che annuncia al microfono che l’autore sta arrivando; quando eccolo, infatti, alto-capelli argentati, entrare tra timidi applausi ed iniziare a parlare scusandosi; intanto entra una bella donna elegante e sicura di sé con un ragazzino annoiato e mal disposto. Lo studioso racconta in modo seducente, la donna un po’ lo ascolta, un po’ parla con il vicino, un po’ fa dei segni al ragazzino…

Ci sarà poi un viaggio in macchina della donna, una gallerista francese trasferitasi in Toscana, con il critico d’arte. Meta: Lucignano, cittadina del sud toscano. I due parlano dell’oggetto del libro presentato, che accompagnerà come filo filosofico l’intera pellicola: il rapporto, cioè, tra un’opera originale e la sua copia; ma anche di aspetti della vita di lei. La macchina da presa su di loro ne sottolinea, nel viaggio, i mutamenti di luce come di umore. La donna (Juliette Binoche), seduttivamente aggressiva, ci offre, inquadrata in primo piano, una serie magnifica di espressioni; mentre l’uomo (William Shimell), più sulla difensiva, rilancia. Tutto vivo, tutto mobile, carico di promesse così come l’incontro con la mediovalità di Lucignano con il via vai di sposalizi portafortuna e con un museo che custodisce un ritratto femminile ritenuto per molto tempo autentico, ma poi rivelatosi una copia.

E’ in un caffè che il film cambia di colpo. La proprietaria, una donna del popolo, semplice e schietta, scambia i due per marito e moglie. Lei sta al gioco, lui pure. Quello che appare un gioco, sembra invece diventare realtà. Quei due che parevano essersi conosciuti appena, sembrano essere, invece, marito e moglie da 15 anni. Nel frattempo il tempo ha cambiato i loro rapporti. Erano felici ora sono in crisi. Improvvisamente un altro film. Due film in uno. Così sembra almeno.

Qual è la verità? Non si sa. L’interrogativo non viene sciolto. Per la verità ho trovato una recensione molto analitica ed interessante di Stefano Santoli su Filmscoop , che individua dei segni, che dimostrano che tra i due viveva da subito un’implicita intesa… Importante questo? Non credo.

Le domande che mi sono posto sono due.

La prima: c’è un “discorso filosofico e-o esistenziale” che connette le due fasi? Esiste un rapporto tra il tema “prodotto originale e copia” e la loro vicenda? E qual è, invece, il rapporto tra le coppie felici che in quel presente si stanno sposando a Lucignano e il loro matrimonio, allora felici, entrato nel tempo in crisi?

La sensazione, ad una prima lettura, è che un grande regista come Abbas Kiarostami, per una volta, non abbia avuto né la forza di pensiero, né quella psicologica di motivare e quindi miscelare efficacemente questo salto narrativo, che risulta, invece, giustapposto.

La seconda, e più decisiva, domanda: considerando pure questa seconda parte della pellicola un secondo film, ha la forza di “reggere in sè” come invece mi pare l’abbia magnificamente la prima parte? Mi pare che non l’abbia. La crisi della coppia, cioè i dissapori e i malumori, le nostalgie e le dimenticanze… in una parola la qualità dei contrasti è vista e ri-vista, non ha lo scatto della re-invenzione. Si potrebbe dire che la stanchezza della coppia è anche stanchezza della rappresentazione. Se pure fosse vera quella stanchezza come quella bellezza del tempo scandito dalla campana, essa non ci comprende, perché non si allarga, rimane privata, appartiene a loro due.

Copia conforme (Copie conforme)
Regia: Abbas Kiarostami
Sceneggiatura: Abbas Kiarostami
Fotografia: Luca Bigazzi
Interpreti: Juliette Binoche, William Shimell, Jean-Claude Carrière, Agathe Natanson, Gianna Giachetti, Adrian Moore, Angelo Barbagallo, Andrea Laurenzi, Filippo Trojano, Manuela Balsimelli
Nazionalità: Francia – Italia, 2010
Durata: 106 minuti

Nino Muzzi said,

Giugno 6, 2010 @ 18:22

Gianni,
sei buono, come sempre. Ma questa volta forse troppo buono. I dialoghi di questo film compiono un miracolo: accoppiano pesantezza e banalita`, e le immagini sono morte. La Toscana e` morta, lo sappiamo, ma cosi` presentata e` ancora piu` morta: pensa alla faccia della sposina in attesa del suo turno per farsi fotografare sotto l’albero magico: la tristezza di una Madonna addolorata! E poi la tematica della copia e dell’orignale che appassiona dai tempi di Walter Benjamin dove finisce? Boh, non si sa, in quanto loro non sono copia di nessun originale, sono solo degl’improvvisatori su canovaccio dato. Un film su copia e originale dev’essere sempre un po’ misterioso e questo invece e` fastidiosamente didascalico. E poi non si affronta il clou della tematica “copia/originale”, e cioe` l’efficacia estetica della copia: i romani facevano fare copie su copie di sculture greche, si vedeva la differenza? Inoltre l’immagine al museo di Lucignano non puo` considerarsi una copia, ma un “rifacimento in stile di” che e` ben altra cosa rispetto alla copia, e` un falso “credibile” in quanto il pittore ha capito lo spirito della pittura di Ercolano e lo riproduce “liberamente”, non copia niente. Sul tema mi sembra che, dopo “F come falso” di Orson Welles, o si dicono cose piu` intelligenti o si debba tacere. Kiarostami, taci!

monica said,

Giugno 6, 2010 @ 22:15

Ho visto il film la settimana scorsa, sono uscita dalla sala piena di interrogativi: porsi delle domande dopotutto credo sia sempre una condizione positiva, anche se faticosa. Grazie per avermi fornito altro materiale di riflessione 🙂 soprattutto ho trovato interessante la recensione di Stefano Santoli

admin said,

Giugno 7, 2010 @ 18:49

Nino,
ti ringrazio perché hai portato argomenti più precisi alla tematica copia e originale, che rendono più chiaro l’approssimazione estetica e filosofica del film in sè e in realazione alla storia.
Non mi sembra però di essere stato buono, può darsi invece che tu sia troppo cattivo.
Mi spiego: mi attira la prima parte, perchè i “discorsi” non hanno ancora importanza, potrebbero essere appunto parlare per parlare, non sappiamo dove portano… mentre la mobilità della immagine, la sua ambiguità-misteriosità quella mi parla, mi coinvolge…

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