“Final Portrait – L’arte di essere amici” di Stanley Tucci

finaldi Maddalena Ferrari

Ombroso, scorbutico, perennemente scontento del suo lavoro; capelli grigi ricci scompigliati, a incorniciare un viso corrucciato con gli occhi penetranti e il profilo angoloso, la silhouette un po’ ingobbita, sottolineata dagli abiti cascanti: se questo è il ritratto di Giacometti, Jeoffrey Rush è proprio lui.

Ma se non è sufficiente un bel personaggio, interpretato con intelligenza, sensibilità e duttilità, a fare un buon film, la sceneggiatura serrata ed essenziale, la circolarità, che è anche metafora, delle situazioni, per cui sembra di tornare continuamente al punto di partenza, l’ambientazione (quel cortile chiuso da un  vecchio portone, che immette in uno studio/abitazione dove regna il disordine) che ti fa percepire un mondo separato, le persone che ruotano intorno all’artista, la moglie, il fratello, l’amante, in un intreccio vivo e improbabile, infine il rapporto con il giovane e bell’americano, lo scrittore James Lord, al quale Giacometti  fece il ritratto poco tempo prima di morire, tutto rende il film intenso e accattivante.

Final Portrait – L’Arte di essere Amici

Regia di Stanley Tucci. Un film con Geoffrey Rush, Armie Hammer, Tony Shalhoub, Sylvie Testud, Clémence Poésy, James Faulkner. – Gran Bretagna, 2017, durata 90 minuti.

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