“Sul Pinocchio cinematografico” di Gianni Quilici

pinoCi sono romanzi cinematografici e romanzi che non lo sono. Pinocchio lo è.

Del cinema ha movimento, visionarietà, personaggi paradigmatici, situazioni iperboliche, gusto dell’avventura, primitivismo dei sentimenti.

Leggendolo, ho pensato: “La sceneggiatura ideale per un film di Spielberg”, immaginando una miscellanea tra ET e I Predatori dell’Arca perduta; oppure, più semplicemente, l’ho visualizzato come l”ideale cartone animato.

Non mi ha stupito quindi scoprire che perfino i russi lo hanno trasposto  in una serie di cartoni animati. Solo che non li ho trovati e posso riferire soltanto l”opinione di Piero Guarducci, secondo il quale questi filmati non “riuscirono a farlo uscire da una certa mediocrità”. (1)

Ho reperito facilmente, invece, il famoso Pinocchio che Walt Disney realizzo nel 1940.

Pinocchio e l”immaginario

Confesso che, vedendolo soltanto ora per la prima volta, sono rimasto sorpreso e un po’ contrariato. Perché?

E” logico: non si è vergini di fronte al burattino. Già il libro è una formidabile fonte di immagini, ma chi non si è imbattuto nella sua infanzia in alcune di0quelle innumerevoli, preziose, talvolta oniriche illustrazioni (da Enrico. Mazzanti a Carlo Chiostri, da Leo Mattioli a Sergio Tofana ecc.), chi non l’ha incontrato qualche volta al teatro, o in televisione, o più semplicemente non l’ha trasfigurato nei racconti orali?

Esiste insomma un immaginario su Pinocchio come mescolanza di suggestioni e ‘di linguaggi. Lo intuisco meglio se, in modo del tutto soggettivo ed in un certo senso arbitrario, chiudo gli occhi e immagino il mio Pinocchio.

Esso. è da un lato inevitabilmente stereotipato in alcuni fotogrammi scontati (dal burattino dal naso lungo a Mangiafoco grande, grosso e terribile>, dall’altro è dinamicizzato – è facile dare movimento e spazio a Pinocchio – in quegli aspetti dell”opera che Italo Calvino (2) sintetizzava nel “romanzo picaresco” (le locande malfrequentate, il vagabondaggio e ‘la fame, gli sbirri e le forche) e nel “romanticismo fantastico e nero” con la casina che biancheggia nella notte, con i conigli neri che trasportano la bara, gli assassini imbacuccati ecc.

Pinocchio-Walt-Disney

Pinocchio e Walt Disney

Niente di tutto ciò in Walt Disney. E pazienza! Vediamolo, quindi, facendoci puri dal pre-esistente immaginario.

L”inizio è hollywoodiano, cioè scenograficamente spettacolare, ma nel modo lento ed insulso con cui si fa spettacolo in tanti varietà televisivi nostrani.

Ecco quindi il grillo parlante che, diversamente dal libro, assurge ad io-narrante ed a coscienza petulante e saccente untuosa e presuntuosa (3) di Pinocchio, mentre canta la solita mielosa canzoncina, che accompagna il solito balletto falso­allegro. E” questo un motivo, che percorre il film e si ripropone costantemente: il Gatto e la Volpe che cantano con Pinocchio,

Pinocchio che danza nel teatrino di Mangiafoco, Geppetto che collauda il Pinocchio ballando ecc. ecc. Non solo i balletti sono in sé insulsi, ma tolgono anche ritmo ad una storia, che ha nell’azione iperbolica una delle molle più espressive e spettacolari.

Ecco un Geppetto un po’ rimbambito, tra una lacrimuccia e un sospiro, nella sua casa coloratissima e piena di orologi sorprendenti, con la pesciolina, Cleo, dagli occhi grandi, azzurri e languidi, con il gattino, Figaro, tenero tenero. Ecco la Fatina dai capelli turchini ridotta ad uno stereotipo sessuale-ammiccante …

Ecco, cioè, quel sentimento stucchevole che percorre come un filo tutto il film: un sentimento falso, di maniera, un intenerimento superficiale, aprioristico, né motivato, né rappresentato.

Ma è soprattutto con il personaggio di Pinocchio, che il film fallisce. D”accordo: è evidente la difficoltà per Walt Disney di cogliere le radici popolari della vicenda (la vita di paese col suo linguaggio e le sue tipologie), né era necessario rappresentare il Pinocchio che conosciamo, cioè una specie di paradigma dell’adolescenza scapestrata ed avventurosa. Ma questo Pinocchio non ha alcuna vitalità espressiva. Appare quasi un bambino-pappagallo, privo di un”autonomia personale che lo renda espressivo. Un esempio tra gli altri. Dice in un dialogo con Mangiafoco: “Sono stato bravo?” “Sono.un attore?” ”Veramente?” “Oh, grazie! … “.

Si ritrova invece spessore quando Walt Disney rappresenta situazioni anti-sentimentali. Allora lo stereotipo si fa inquietante e l”immagine riesce ad essere visionaria: Pinocchio ingabbiato da Mangiafoco, che viene attraversato da una luce bianca, spettrale, sinistra, mentre oscilla lugubremente con gli altri ninnoli del carro; l’omone che porta i ragazzi nel paese dei balocchi così scolpito nella sua perfida, agghiacciante compiaciuta truculenza; o anche la metamorfosi dei ragazzi, che sono diventati o stanno per diventare ciuchi; oppure la figura di Lucignolo, con i suoi denti di coniglio impertinenti •••

Si potrebbe dire in modo (forse) arbitrario che nella rappresentazione del positivo Walt Disney è banale, perché è ideologico e la sua ideologia è legata ad un ottimismo di maniera, facile e semplice, di tradizione borghese-americana, mentre, nei personaggi e nelle situazioni – per intenderci – negative, è efficace, perché si lascia andare a forze che non controlla e che non conosce del tutto.

E quindi la nostalgia del collodiano Pinocchio rimane.,

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Pinocchio e Comencini

Ecco arrivare nel 1972 la realizzazione di Luigi Comencini. Vediamo innanzitutto come è nato il film ascoltando le parole del regista. “Quando giravamo La ragazza di Bube, io e Gherardi parlammo della possibilità di fare Pinocchio, di come sarebbe stato bello poter fare Pinocchio. Ma questa idea resto lì, poi ho saputo che la televisione voleva farlo con Fellini e Ponti, e poi ancora che questo progetto si era arenato. Allora mi sono messo a lavorare con Susa Cecchi d’Amico sul libro, ed è solo dopo che la televisione mi ha cercato, perché noi pensavamo ad un film. La televisione offriva un pubblico enorme per un film~ come Pinocchio, perchè gli adulti, pensavo, non si sarebbero scomodati ad andare al cinema per vedere Pinocchio, mentre così l’avrebbero visto. Ho firmato un contratto per sei episodi un po’ imprudentemente, e difatti il materiale era buono per chiunque, ed è stato molto faticoso convincere la Tv a lasciarlo così, a evitare lungaggini e ripetizioni. Il contrario che al cinema: la Tv vuole riempire più ore possibili, i produttori cinematografici chiedono sempre di tagliare, hanno sempre paura che il film sia troppo lungo e noioso. Per la versione passata nei cinema ho dovuto, dopo molti tentativi, tagliare via interi episodi, per dare una struttura autonoma e logica, e non fare un riassunto veloce di tutto quanto”. (4)

Si nota subito la differenza da Walt Disney nella rappresentazione scenografica.

Quel paese, che inizialmente vediamo immerso in una luce livida e stanca e che durante il film è percorso da pecore ed asini, da contadini e da vecchie comari, non scade mai <quasi) nel bozzetto.

C”è pero una differenza col testo di Collodi. La rivela lo stesso Comencini: “Il mio Pinocchio capovolgeva un po’ quello del libro:

Pinocchio è un bambino cui si minaccia continuamente di farlo tornare burattino, il contrario che nel libro. Geppetto si è fabbricato un burattino per girare il mondo e guadagnare qualcosa, e la fatina lo trasforma subito in bambino, ma col ricatto di farlo ritornare burattino se non farà il bravo, mentre nel libro è il miraggio di poter diventare bambino che è la molla dell’azione, e anche la minaccia che gli viene fatta dai tutori della morale, la fatina e il grillo parlante” (5). La scelta di utilizzare un bambino (in gran parte del film) è funzionale – si presume – al tipo di film: un film con attori. Ed in effetti il giovanissimo Andrea Balestri è un Pinocchio ben diretto, favorito da un personaggio che qui ha una sua articolazione: impertinente e dispettoso, cattivetto ed ingenuo. Ma non c’è dubbio che con la recitazione si perda quella iperbolica dinamicità intrinseca al linguaggio d’animazione.

E” questo un limite, che si ritrova in quelle (poche) scene farsesche del film, come per esempio quando Geppetto e maestro Ciliegia s’azzuffano.

Il testo di Collodi qui mi pare debole: troppo scoperto e facile è il desiderio di divertirsi dello scrittore.

Comencini e Suso Cecchi D’Amico cambiano il dialogo e lo peggiorano, mettendo in bocca a Geppetto un linguaggio più piccolo-borghese che popolare (“Bell’offesa’ Potevate risparmiarvela!” “Ho una dignità da difendere io'” ed inoltre la Zuffa risulta piattamente farsesca, quando forse sarebbe stato più opportuno deformarla con ironica leggerezza (accelerazione dell’immagine, ad esempio, ecc.).

Ma il limite più evidente del film mi paiono i personaggi di Geppetto e della Fatina, nel modo come sono recitati.

Nino Manfredi è un Geppetto a cui manca la corporeità adatta: ci si sente un’energia sovrabbondante, che mal si adatta ad un personaggio rassegnato, dimesso e stanco; e talvolta è clamorosamente fuori tono.

Di Gina Lollobrigida colpiscono la legnosità e la rigidezza. Non mi stupisce quindi un fatto riferito da Umberto Torriero. “Stavamo al lago di Anguillara, era la scena della tomba con la fotografia della fata, ossia la Lollobrigida, che il bambino doveva baciare. Insomma siamo stati una giornata intera per girarla, perché ‘sto ragazzino fin dal primo giorno si era messo a odiare la Lollobrigida e non voleva darle un bacio neppure in immagine. Non abbiamo mai capito il motivo di questo odio”. (6) Un bel quesito poliziesco questo odio?

Il nostro unico indizio è il film. E nel film il personaggio della Fatina non sembra quasi mai passare attraverso la Lollobrigida. Sembra quasi che essa sia poco capace di autovedersi, cioè di quel pizzico di autoironia, di sentimento di sé, che dovebbe essere al tempo stesso del personaggio e dell’attrice. Sembra tutta fuori di sé, imprigionata.

Il film presenta spunti interessanti ed anche poetici. Comencini riesce ad essere poeta soprattutto quando fa parlare le immagini. Ed infatti tutti quei momenti un po’ onirici, notturni, sospesi tra la realtà e il sogno sono rappresentati con visionaria efficaci..

Per esempio è molto bella l’intera sequenza del paese dei balocchi: dalla fila dei ciuchini che tirano il carro fino alla festa tra luci, voci e musiche. Ma anche piccole sequenze: la risata del Gatto e della Volpe quando hanno beffato Pinocchio, Geppetto alla ricerca di Pinocchio visto in campo lungo nel cielo blu notte e le stradine bianche che si biforcano, la casa notturna a cui Pinocchio bussa per chiedere del pane. Infine, è da sottolineare l’efficacia della musica di Fiorenzo Carpi: ora ironico-veloce, ora malinconico-evocativa.

Note

1) Piero Guarducci, Pinocchio sullo schermo in AA.VV., Omaggio a Pinocchio Pescia, Fondazione Nazionale Carlo Collodi, 1967, p. 58.

2) Italo Calvino, Ma Collodi non esiste “La Repubblica”, 19-20 apri le 1981.

3) Sono aggettivi ripresi dall’intervento di Piero Guarducci, cit.

4) Dichiarazione di Luigi Comencini estratta dal libro di Franca Faldini-Goffredo Fofi, Il cinema italiano d”oggi 1970-1984 Racconti dei suoi Protagonisti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984, pp. 508-509.

5) Dichiarazione di Luigi Comencini in Franca Faldini-Goffredo ,Fofi, op. cit., pp. 507-508.

6) Dichiarazione di Umberto Torriero in Franca Faldini-Goffredo Fofi, op. cit., p. 509.

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