“Non sparate sul pianista” di Gaetano Liguori

non spdi Mimmo  Mastrangelo

Una certezza: il  western è il solo genere  che abbracci ininterrottamente l’intera storia del cinema (specie statunitense), dall’inizio ai giorni nostri. In “Assalto al treno (1903) di E.S Porter che dura una decina di muniti, la nascita del cinema narrativo e quella del western coincidono.

Nella storia del western si possono distinguere schematicamente due fasi principali: l’una elementare, primitiva, mitica che arriva fino agli anni trenta; l’altra stilisticamente più consapevole e attenta alle ragioni della storia e della psicologia. Dopo la  seconda guerra mondiale il cinema western pone sempre più l’accento sulla storia a spese del mito, con un nuovo interesse verso le problematiche degli apaches e i nodi non sciolti della società e della razza. Il ventennio fino all’inizio degli anni sessanta non è solo la grande stagione di   J. Ford, ma vede all’opera anche registi del calibro di Hawks, Mann, Sturges, Wellman, Daves, Walsh, Ray, Lang e comprende pellicole di grandissimi richiamo come “Il mio corpo ti scalderà”, “Duello al sole”, “Mezzogiorno di fuoco”, “Il cavaliere della valle solitaria”.

Nel corso dei decenni successivi  si assiste ad un processo di revisione del genere: da un lato con un filone crepuscolare e malinconico, in cui gli eroi solitari sono ormai vecchi e stanchi, dall’altro con una conversione cultural-ideologica conseguente alla riflessione post-Vietnam e agli spaghetti-western italiani che spingono gli autori a mostrare  la reale violenza del West in pellicole dall’atmosfera cruda e spietata ( “Il mucchio selvaggio” di S. Peckinpah, “L’uomo dalla cravatta di cuoio” di D.Siegel, “Impiccalo più in alto” di T.Post).

Sul western sono stati scritti sterminati di saggi  nonché un’infinità biografie sui suoi  autori e protagonisti, in ultimo si deve segnalare  “Non sparate sul pianista” di Gaetano Liguori.
Il noto musicista jazz nel suo volume narra l’epica storia del selvaggio West  attraverso i suoi  occhi di bambino (anni cinquanta), ragazzo  (anni sessanta) e uomo (decenni successivi). Liguori racconta  la storia di una personale passione:  per  lui il  western non è solo sinonimo di scorribande e sparatorie, ma un cinema con una sua etica che, esaltando il valore della giustizia, del coraggio, dell’amicizia, ha influenzato generazioni di spettatori i quali  “idealmente hanno cavalcato con John Wayne, difeso i poveri coi magnifici sette, lottato per salvare un amico come  ne Il mucchio selvaggio“.

Gaetano Liguori. Non sparate sul pianista.edizioni Skira, pag 214, euro 16,00

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