“La bellezza e i film di Bergman” di Maddalena Ferrari

berIn tutti i suoi film c’è una bellezza, che  è anche uno scavare in profondità.

E’ la bellezza del regista stesso, del suo volto, nei rari momenti in cui appare: viso affilato, occhi scuri penetranti, ironici.

E poi le splendide attrici e gli splendidi attori, che accompagnano il suo percorso artistico di film in film.

E’ anche la bellezza dell’inquietudine, del  rivoluzionarsi e dello spiazzare il pubblico.

E’ la bellezza della simbiosi tra la sua ricerca di senso nella vita e la rappresentazione di essa, attraverso il teatro e il cinema, attraverso la maschera e il gioco illusionistico, lo scherzo, attraverso l’immagine e i suoi riflessi nelle sfaccettature di uno specchio.

Sia che investighi la presenza ( o l’assenza) di Dio o comunque del trascendente, sia che, allontanatosi da una problematica esistenziale posta in questi termini e intrapresa la strada dell’”umano troppo umano”, scandagli le molteplici vie , di volta in volta tortuose e labirintiche, profonde e intersecantesi, della mente e del cuore, dell’io e del suo doppio, attraversando il reale, l’immaginario, il sogno, Bergman mette in gioco se stesso e il suo vissuto.

E fa questo vivendo come un’esperienza esistenziale la realizzazione dei film, in cui coinvolge psicologicamente e affettivamente i suoi collaboratori, in primo luogo gli attori.

Dice il regista:“ C’è una soddisfazione quasi sensuale nel lavorare a contatto con persone forti, autonome e creative…Mi capita di provare una forte nostalgia di tutto e di tutti. Capisco quel che intende dire Fellini quando afferma che il cinema è per lui un modo di vivere…A volte è una particolare fortuna essere regista cinematografico” (1)

Ancora: è la bellezza dell’avventura interiore, del viaggio nella complessità e contraddittorietà delle diverse psicologie delle persone ( la consapevolezza, l’inconsapevolezza, il rimosso, l’inconscio ), delle diverse relazioni che esse hanno tra loro e con la realtà ; espressioni, caratteri sono colti in profondità, anche in personaggi  non centrali.

E’ inoltre la bellezza del contrasto, percepibile quasi fisicamente, tra il gelo dell’indifferenza, dell’apatia, dell’odio e il calore dei sentimenti di riconoscimento e di affetto.

E’ altresì la bellezza del volto e della parola: i primi piani, i lunghi dialoghi e i soliloqui, connaturati con il suo cinema, non solo per i contesti narrativi prescelti, ma anche per la poetica e la forma espressiva ad essa sottesa .

(1)Ingmar Bergman “Lanterna magica”,Garzanti, 1987

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