“SK sonderkommando” di Sergio Ragone

MIMdi Mimmo Mastrangelo

“Aver concepito ed organizzato il Sonderkommando è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo…Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti…”.

Nelle pagine del saggio “ I sommersi e i salvati” così Primo Levi presentava  le unità speciali di  deportati che appena arrivati  nei lager venivano selezionati dai nazisti per compiere lo sporco lavoro di trasportare i cadaveri di altri internati dalle camere a gas ai forni crematori. Il sonderkommando in sostanza era una vittima che non poteva sfuggire ai comandi della macchina di sterminio  messa all’opera dai nazisti, eppure alla storia, spesso, è passato per un denigrato subordinato, un complice infame degli aguzzini. Ma sui sonderkommandos è ancora  Primo Levi  a non lasciare dubbi su giudizi o sentenze: “Credo – scrive nel volume citato sopra – che nessuno sia autorizzato a giudicarli  non chi ha conosciuto l’esperienza  del lager, tanto meno chi non l’ha conosciuto…”.

Chiusa la premessa storica ora “Sk-Sonderkommando” (2014) è il titolo del cortometraggio con cui il giovane cineasta lucano Nicola Ragone si è aggiudicato (meritamente) il Nastro D’Argento 2015 come miglior film per il formato breve. Un film che riapre una ferita, fa provare intorno alla figura del “deportato-altro” un senso di pena e smarrimento, ma il lavoro  di Ragone ha snodi di densa filmicità e palpita di atmosfere già dalle primissime sequenze in cui si vedono uomini e donne ammassati  come bestie nel vagone di un treno merci  in corsa verso il campo di sterminio.

I movimenti della  macchina da presa procedono lenti, e grazie alla magistrale fotografia di Daniele Ciprì ( negli novanta ha fatto scuola col bianco e nero di   Cinico tv) i dispositivi della  penombra sono rotti da improvvise lame di luce che si riversano sul corpo e il volto provato di una madre che tiene stretta a sé una bambina, di una donna le cui  forze vengono meno, di uomo che sta  rammentando un mantello, di altro uomo che  suona un’armonica e nel frattempo il suo sguardo ha incrociato quello  di un ragazzo. Si intuisce tra loro un’attrazione, ma è spezzata sul nascere. Il primo sarà scelto  sonderkommando, il ragazzo, invece, finirà nella camera gas.

Il film di Nicola Ragone è il soffio di un amore-diverso tranciato di netto dalla messa dell’orrore che si sta celebrando nei lager (non dimentichiamo che gli omosessuali vittime dell’orrore nazista sono stati stimati intorno alle cinquantamila). Sceneggiato insieme a Silvia Scola  con dei dialoghi scarnissimi, il corto di Ragone è un “chant d’amour” represso che ha, però, l’effetto di amplificare  il ricordo tragico  della pagina più buia del novecento. Una pellicola di diciotto minuti di una bellezza straniante e dolorosa che (ri)apre uno squarcio nella storia senza imporre nulla e anche senza nulla occultare. Sarebbe inutile sottolineare la bravura di Marcello Prayer (il volto del protagonista), ma lo facciamo per la sola ragione che è un attore che meriterebbe più riconoscimenti a dispetto di quelli che, spesso, con eccesso e gratuitamente piovono sui colleghi della sua stessa generazione (quella di mezzo).

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